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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Stop al cemento: la salvezza dell'Agro romano passa per l'Unesco

Una petizione lanciata dalla rete "Salviamo il paesaggio" mira al riconoscimento dell'Agro romano come patrimonio mondiale dell'umanità: "Attualmente 3 mq al minuto sono mangiati dal cemento"

I casali che si notavano subito dopo il Raccordo anulare, ormai s'intravedono appena. Ne sopravvivono alcuni ruderi all'altezza della via Ardeatina. Gli altri sono spariti. Inglobati tra i palazzi di una periferia sempre più vasta. Negli ultimi decenni sono stati costruiti interi quartieri, consumando suolo e cancellando ampie porzioni di paesaggio. Pezzi di storia, rimasta per decenni immutata, non esistono più.

La salvaguardia dell'Agro romano

Nei territori c'è chi prova a resistere, organizzando escursioni tra gli spazi ancora non inglobati dal cemento. E' il caso dell'associazione i Casali della memoria che, partendo dalla zona di Tor Pagnotta, ripercorre i sentieri e racconta le vicende dei mezzadri che lavoravano le terre dei Torlonia. "Abbiamo fondato l'assocazione dnel gennaio del 2010 – racconta Maurizio Romano, l'istrionico presidente – perchè avevamo l'obiettivo di salvaguardare l'Agro romano meridionale attraverso la sua valorizzazione".

La raccolta firme

Una finalità simile, ma con uno sguardo che si rivolge all'intero Agro romano, è stata  coltivata dal forum regionale di Salviamo il Paesaggio. Su piattaforma change.org è stata infatti pubblicata una petizione molto particolare. Mira a trasformare l' "Agro romano" in "Patrimonio per l'umanità". La raccolta firme, già sottoscritta da oltre 900 persone, si rivolge al Mibact ed al Ministero dell'Ambiente cui si chiede d'intercedere presso l'Unesco.

Il cemento sta divorando l'Agro romano

"Attualmente dei circa 71.000 ettari di Agro – si legge nella petizone –  ma ben 3 metri quadrati al minuto sono mangiati dal cemento, persi per sempre". Un dato che desta preoccupazione. Ma la previsione è ancor più drammatica se viene spalmata su un arco temporale ancor più ampio. "Da qui al 2030, anno di attuazione delle previsioni del Piano Regolatore, nella campagna romana il consumo di suolo arriverà a circa 161 ettari ogni anno". Significa pagare  "un prezzo altissimo per la perdita di paesaggio, di patrimonio agricolo e culturale, di biodiversità, di salute per i cittadini e di costi per la collettività. Un luogo dell’anima per sempre perduto". 

Il consumo e l'impermeabilizzazione del suolo

Con l'arrivo del cemento il paesaggio reso immortale da romanzieri e pittori, sarà perduto per sempre. Da qui l'esigenza di porre un argine. Ma le implicazioni non saranno soltanto sul piano visivo. La cancellazione degli spazi verdi, sostituiti da un'urbanizzazione implacabile, genera ripercussioni anche sul piano idrogeologico."Al consumo di suolo – ha ricordato il Gruppo Territorio e Ambiente del Municipio IX – si associa il fenomeno della degradazione dello stesso, di cui una delle principali cause è rappresentata dalla sua impermeabilizzazione". Si tratta di fenomeni di cui è ricca la letteratura scientifica.

Di recente anche l'ISPRA, in un lavoro condotto insieme a Roma Capitale, ha snocciolato preoccupanti dati. Il fatto più preoccupante è che il 92% di territorio è stato consumato irreversibilmente e che dei 30mila ettari perduti, ci sono anche delle aree caratterizzate da massima pericolosità idraulica. "L’arresto del consumo di suolo – ha fatto notare il Gruppo Territorio e Ambiente del IX Municipio – anche a livello municipale, rappresenterebbero un contributo significativo alla lotta al cambiamento climatico – non solo locale – e alla salvaguardia dei servizi ecosistemici, fondamentali per una qualità accettabile della vita".

Un patrimonio universale

L'argine principale al consumo di territorio, passa per la salvaguardia dell'Agro romano. Ed un modo per riuscirvi è quello di tutelarlo, di valorizzarlo al massimo. La visione del paesaggio rurale della Capitale, attraverso la penna di poeti ed il pennello dei pittori, è già diventato un patrimonio culturale universale. Ora si tratta di ratificare questo status, di farlo riconoscere anche all'Unesco.

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