Un po' gheishe giapponesi e un po' etère dell'Antica Grecia: la civiltà delle cortigiane nella Roma rinascimentale e nell'Italia frazionata del tempo, ben descritta nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione, meriterebbe un voluminoso trattato di storia del costume e della società tra Quattrocento e Cinquecento. Donne di umilissime condizioni, spesso figlie di prostitute od orfane che venivano affidate a illustri uomini d'affari o nobili principi della Chiesa affinché si avviassero alla professione, le cortigiane romane, quelle chiamate senza troppe metafore le curiali, dettero vita a un fenomeno storico di vita e di costume fatto persino di scuole che insegnavano alle giovani fanciulle l'arte di diventare donne ambite e desiderate. Erano colte al punto da saper comporre madrigali e sonetti, recitare e cantare in pubblico, conversare a proposito di letteratura, musica e arte, e fare dei propri salotti la fucina di interminabili discussioni sulle estetiche rinascimentali. Ed erano altresì ricchissime, poiché per la loro qualità umana, la loro astuzia e intelligenza si accaparrarono i favori di uomini potenti e abbienti a qualunque consorteria municipale essi appartenessero. Pochi uomini sapevano resistere al loro fascino e alle loro lusinghe.
Nella Roma cattolica e papalina - quella che insigniva per calcolo politico del titolo cardinalizio giovani rampolli di famiglie in vista, tenuti solo a rispettare il celibato e non la castità fino al compimento dei trentasei anni -, si svolsero le vite straordinarie di donne che facevano del servizio sessuale e della conversazione raffinata uno strumento precipuo di gestione del potere maschile. Erano le consigliori più ascoltate dalle élites del tempo, le accompagnatrici più ricercate a eventi mondani, tanto che sfoggiarne la compagnia dava lustro a chi porgeva loro il braccio. Ed esserne privi costava una poco acconcia accusa di pederastia o peggio ancora di avarizia.
Tra i primi del Quattrocento e la metà del Cinquecento, complice anche l'istituto del matrimonio politico e un diritto civile lacunoso e inadeguato sulla famiglia, in una città che contava tra i 50.000 e gli 80.000 abitanti - dei quali la stragrande maggioranza maschi, costretti alla solitudine dai voti ecclesiastici o dalla professione svolta come banchieri, ambasciatori, armatori e soldati, che l'esercito pontificio sceglieva rigorosamente celibi - un censimento dell'epoca contava circa 6.800 "peripatetiche" divise tra meretrici da lume o da candela e quelle honeste. Le prime erano le professioniste che prendevano il nome dal tempo durante il quale si concedevano ai clienti, ossia quello di una candela. Le seconde venivano chiamate honeste perché sapevano parlare, comportarsi in società e intrattenere i propri frequentatori con i quali contrattualizzavano il loro tempo con cifre da capogiro e sontuosi pegni immobiliari in cambio. Si pensi che il rione Ponte, quello non a caso vicino al Vaticano, ospitava dimore principesche, interi palazzi, taverne e negozi di proprietà delle cortigiane più stimate e amate dell'epoca. Una piazzetta ponticiana, piazza Fiammetta, ancora oggi è intitolata a una delle più belle e sagaci donne che accompagnò uomini del calibro del ricchissimo cardinale Jacopo Ammannati Piccolomini o del duca Valentino: fu Fiammetta Michaelis o de' Michaelis, al secolo Monna Fiammetta. Quando spirò, lasciò un'ingente eredità al figlio che però non visse molto, a causa forse della tisi. Nel testamento la sua volontà postuma fece ereditare al convento della chiesa di sant'Agostino una fortuna, pari al prodotto interno lordo di una Signoria italiana di media grandezza. Sì, perché gli investimenti che Tullia d'Aragona, Giulia Campana, Vannozza Cattanei, Beatrice Ferrarese, Imperia Cognati e Lucrezia Porzia (al secolo conosciuta con il coloratissimo soprannome Matrema non vòle) erano tanti e variegati da renderle donne altrettanto ricche e potenti degli uomini di cui riempivano le ore i giorni e in alcuni casi la vita.
Si sappia che alle cortigiane honeste lo Stato Pontificio riconosceva figura giuridica e a loro sole era concesso il privilegio della trasmissione del cognome in assenza di riconoscimento paterno.
Non è difficile immaginare il loro mondo come una realtà fatta di una progenie numerosa e infiniti amanti, di affetti molteplici e profondi, dalla imprevista modulazione combinatoria, di gelosie e rivalità feroci. Un caso per tutti: le famiglie delle cortigiane erano talmente allargate che i figli che papa Borgia cognominò a Vannozza Cattanei, sua cortigiana, non erano certamente tutta prole sua.
I contemporanei infatti già vociferarono assai malignamente sulla impressionante somiglianza tra Cesare Borgia e Giulio II della Rovere. Tanto che, stranamente, morto Alessandro VI Borgia, è un dato di fatto che Giulio II non fece molto per fermare l'ambizione del giovane principe. Insomma, a scoperchiare quell'età antica si scoprono esseri umani a tutto tondo, forti in malizia e generosità, passione sciagurata e santa devozione, ferocia e genialità, astuzia e sapienza. Una civiltà alla quale non potevano difettare donne straordinarie e ammirevoli, e che venne definitivamente arsa dal fuoco della Riforma protestante e dalla Controrifoma cattolica.