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Cultura

INTERVISTA | Rancore a cuore aperto: "Roma sta ai miei brani come Springfield ai Simpson"

Il rapper in gara tra i Campioni: "La mela come metafora delle scelte dell'uomo. Viviamo un momento complesso: la caduta del Muro di Berlino avrebbe dovuto segnare la nascita di un mondo migliore, ma non è stato proprio così"

E' tanto immediata la sua esibizione sul palco dell'Ariston - con coreografia d'effetto e spari in teatro -, quanto densa di metafore è la sua canzone. Ad un anno dal debutto al Festival di Sanremo 2020 al fianco di Daniele Silvestri in 'Argento vivo', Rancore torna con 'Eden', un brano che rappresenta appieno il suo stile ermetico. "Mi sono calato nei panni di un detective che attraversa i tempi per raccogliere tutte le mele che trova, da Guglielmo Tell a René Magritte, come simbolo dei grandi cambiamenti culturali e scientifici della storia dell'uomo - racconta il rapper a Today - Oggi ci troviamo in un momento in cui presente e futuro coincidono. Siamo di nuovo di fronte ad una grande scelta: il tema è quello dell'unione o della divisione". Un soggetto insolito in una kermesse fertile di brani d'amore per tradizione, come tutto nuovo è il debutto dei rapper in gara (non senza polemiche, vedi alla voce Junior Cally): "Spero che le rotture che ci sono state vengano assorbite dal sistema sanremese, che i contenuti riescano a cambiare i contenitori". 

"Che faremo della mela attaccata al ramo?", il quesito del brano. 

La mela è metafora della scelta. Restare uniti o dividerci? Quale parte di noi si sta staccando, perdendo, e quale invece dovremmo riacquire per vivere in pace? Tatata non è solo uno sparo, ma anche uno strappo. Eden è un labirinto di concetti. La mia speranza è che porti stimoli ad ogni ascolto, che ogni persona veda uno dei lati del prisma. E' così che la canzone non si ferma ad essere un quadro, ma uno specchio in cui riconoscersi. Ed è così che il brano non si limita a durare solo tre minuti, perché è ogni volta una nuova scoperta. 

Da dove parti per la costruzione del labirinto?

Attingo dalle cose più semplici, che mi svelano tantissimo. La citazioni culturali sono il mezzo, non il fine. 

Sei di nuovo designato come favorito per il Premio della Critica Mia Martini, assegnato l'anno scorso a 'Argento Vivo'. 

Sarebbe una grande soddisfazione, ma voglio tenermi lontano dall'ottica della gara. Tengo particolarmente a questa canzone e, in un contesto ricco di imprevisti come quello di Sanremo, preferisco concentrarmi a fare il meglio nei 4 minuti di esibizione. 

Rancore a Sanremo 2020 con 'Eden': testo e video

Le polemiche pre-Festival hanno definito gli eccessi del rap "diseducativi". Credi debba esserci un limite?

Le polemiche sono state strumentalizzate dalla politica e non servono a risolvere i problemi ma ad aumentare la divisione anziché creare comunicazione. Tante cose sono state giudicate in maniera dozzinale e superficiale, finendo per porre domande e quesiti che credevo superati da tempo, ma ormai in Italia sta dilagango la moda di tornare ad argomenti che credevo fossero chiusi da almeno cinquant'anni. Credo che l'obiettivo sia dividere tutti ed aumentare la nostra pasività all'ascolto. E' un mondo in cui tutti abbiamo un'opinione su tutto, anche quando in realtà non ne sappiamo e non siamo in grado di ascoltare chi abbiamo di fronte. 

Che generazione è quella dei giovani?

Il fattore culturale non va separato da quello sociale. E' una generazione in cui sembra che tutti sono costretti a fare arte. La musica rap è molto divulgata, e questo è un bene, ma c'è troppa fretta a pubblicare le proprie cose, invece di aspettare la rifinitura dei dettagli.  E' sbagliato, perché lo sprone dovrebbe essere quello di alzare il livello. L'atto creativo dovrebbe essere puro divertimento.  L'arte finisce quando stacchi pennello dal quadro e quel quadro non è piu tuo. Credo che questo nasca dalla mancanza di orientamento generale...

Ovvero?

Il 1989, con la caduta del muro, avrebbe dovuto segnare la nascita di un mondo nuovo e migliore. In realtà non è stato proprio così. Io vengo dalla rottura della famiglia, dai divorzi, dalla caduta torri gemelle, dalla crisi del 2009, dall'inizio di un nuovo mondo che ha messo in contrasto le generazioni vecchie e quelle nuove, soprattutto per la nascita tecnologia. Penso ai complotti di internet. In questo periodo il livello di complessità è molto alto, ma viene abbassato il più possibile per far sì che tutto venga fruito velocemente. La musica che porto cerca di non limitarsi nella complessità, anche a rischio di subire danni. 

4 i rapper in gara a Sanremo, tutti e 4 di origini romane. Roma è città congeniale alla nascita del rap?

E' una città difficile, grande, che non comunica tantissimo. E' come se fosse composta da più città insieme, ma è carica di energie, storie, borgate e situazioni in cui si respira la strada. Lo dimostrano anche i tanti film che la vedono protagonista. Una semplice passeggiata può regalarti tanto, sia in periferia che al centro. In centro c'è la storia, in periferia il presente. E' una città hip hop. Per questo è fulcro del rap. Lo ha cambiato in diversi periodi e chi lo ama non può non conoscerla. 

Roma come ha plasmato la tua musica?

Roma sta ai miei brani come Springfield ai Simpson. E' protagonista del racconto. Basti pensare che la mia prima canzone era dedicata al Tufello. Poi ho scritto 'Il mio quartiere'. Lo uso come archetipo, è parte integrante del mio immaginario.  
 
Hai detto che 'Eden' è "il pianeta primario di un universo che sto creando". La musica di Dardust (in gara anche con Andromeda di Elodie, ndr) rappresenta un nuovo capitolo in termini di sound. In quale direzione andrà la tua musica in futuro?

Il lavoro di Dardust è connubio di classicismo ed elettronica. Continuo lo studio della scrittura. Non ho mai fatto dischi per obiettivi discografici o sanremesi, ma per esserne orgoglioso in futuro. Navigo a vista, non posso fare previsioni. Lascio che a muvermi sia l'ispirazione e il desiderio di raccontare. Non metto pressione alla musa. 

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