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Redazione

La lezione di stile di Ennio Flaiano

Un ricordo dello scrittore scomparso il 20 novembre del 1972

ennioflaiano“…non so cosa si possa dire di nuovo su Ennio Flaiano” mi ha detto un caro amico scrittore in uno scambio di battute sul come ricordarlo per i 50 anni dalla sua scomparsa. E poi ha aggiunto “Tu ne scriverai?” ed io “Non lo so, ci sto pensando”.

In effetti ci ho riflettuto per giorni sul valore di questa ricorrenza, soprattutto per Roma, città che lo ha accolto umanamente e professionalmente dal 1922 e che è stata tra le maggiori protagoniste della sua produzione letteraria, giornalistica e cinematografica.

Ho riletto “Un marziano a Roma” e “Welcome in Rome”, ho ripercorso nella mente le immagini dei film di cui firmò la sceneggiatura come Roma città libera, La dolce vita, Le notti di Cabiria, ho riletto elzeviri e racconti pubblicati su Il Mondo, Oggi, L’Espresso, riviste che hanno segnato la storia del giornalismo culturale del nostro paese.

E poi ho cercato nelle librerie di Centocelle i libri che non avevo. “I libri di Ennio chi?!...” mi ha incalzata la prima libraria, abbassando gli occhiali e alzando lo sguardo. E poi una seconda “Vanno ordinati dottorè…”, e una terza “Ma perché le servivano proprio per stasera?!?!”. Mi sono intimidita nel confessare che sì, volevo proprio leggerli quella sera, perché la lettura è desiderio e non sa attendere consegne, ma ho risposto mentendo “Era per un regalo”. 

Delusa dall’impossibilità di tornare romanticamente a casa con i libri sotto il braccio, mi sono diretta infelicemente verso Amazon. E mi sono chiesta come Ennio Flaiano avrebbe descritto gli stili di vita dei nostri giorni e come avrebbe ironizzato sulla dittatura dell’algoritmo.

Come avrebbe tratteggiato l’imprescindibile programmazione dei consumi culturali, con biglietti del cinema e del teatro doverosamente da pre-acquistare su TicketOne. Quali locuzioni avrebbe trovato per dire, senza giudicare, che non esiste più vita senza prenotazione, denunciando la fine dell’imprevedibilità degli eventi, dove albergano -restando inesplorati- i semi della creatività. 

Come avrebbe raccontato di intellettuali, giornalisti, artisti, spesso afoni nel dibattito pubblico ma urlanti nel web, di scrittori che immaginano personaggi dialogando su WhatsApp e di artisti alla ricerca di quotazioni da like sui social, ormai per tutti “bene rifugio” dalla realtà. 

Come avrebbe narrato di opening di mostre che sostituiscono i vari caffè Rosati, dove gli “addetti ai lavori”, in una sorta di passerella, sprecano questo tempo fertile di casuali incontri facendo capolino in solitudine tra le opere. 
Come avrebbe dipinto le presentazioni dei libri, dove non accade nulla se non finire immortalati nella gallery Cafonal di Dagospia il giorno seguente, senza nemmeno passare dalla Reflex di un paparazzo vero. 

Non lo sapremo mai, ma potremmo immagine il tono e lo stile che Ennio Flaiano avrebbe utilizzato. Ad un intervistatore che gli chiese in tv se fosse “un giornalista o uno scrittore” rispose “vorrei essere un cronista. Il giornalismo e la letteratura non hanno confini, hanno un territorio comune che è la vita dell’uomo” , e da questo punto di vista comprese e raccontò il nostro paese. Uno sguardo che lo distinse e contraddistinse sempre dagli altri, e che lo ha reso uno degli scrittori più interessanti del ‘900, capace di concepire un racconto satirico, ma profondo, delle virtù e delle debolezze umane e della pancia molle di Roma. 
Acuto, curioso, sensibile, osservatore vigile ma mai scrutante, brillante ma non superficiale, critico ma mai offensivo, ci ha lasciato le più significative pennellate di romanità travestite da semplice cronaca. Un valore per la nostra città che stride col disvalore di certe narrazioni dominanti degli ultimi anni che hanno alimentato l’immagine di una Roma che “fa schifo”. Rappresentazioni faziose, propagandistiche, allusive, aggressive e spesso volgari che nell’atto di denunciare sono diventate parte stessa del degrado della città. Una deriva da odiatori social, dilagata anche nei quotidiani che hanno dimenticato di aver fatto la storia del giornalismo italiano. 

“Sì, scriverò di Flaiano, perché ci manca. Ci manca per la lezione di stile che ci ha dato e per tutto quello che ha rappresentato. Abbiamo bisogno di ricordarlo per questo” è il messaggio che avevo pensato di mandare al mio amico scrittore. Ma mentre lo digitavo su WhatsApp, l’occhio mi è caduto sulla pagina 143 dell’“Occhiale indiscreto”: “Lascia correre. Roma non ti riguarda, dopotutto. Roma è una città che la sa lunga e queste cose che tu lamenti oggi si lamentavano duemila anni fa” . 
Chissà se poi invece il mio amico ha scritto qualcosa.

La lezione di stile di Ennio Flaiano

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