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Cultura

INTERVISTA | Simone Nebbia: "Al Pigneto si impara a vivere Controvento"

Intervista a cuore aperto al cantautore

Simone Nebbia è un cantautore che potremmo definire poetico-politico.  Nasce nel 1981 a Roma e cresce nel quartiere popolare del Pigneto e, proprio nei principali locali di zona, inizia a esibirsi, dapprima solo voce e chitarra, per poi arrivare alla presentazione del suo primo album con la sua band, una formazione di musicisti professionisti.

Il primo lavoro di Nebbia sarà presentato a ‘Na Cosetta – rinomato locale della Capitale, noto alle cronache per l’accuratissima programmazione artistica – venerdì 17 novembre 2017.

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 Quando hai scoperto/sentito di voler diventare un cantautore?

Non conoscevo la parola, ma ascoltavo mio padre che suonava una coreana di legno chiaro e strimpellava gli accordi de La Locomotiva di Guccini. Io cantavo, non ho mai fatto altro. Mia madre mi portava dalle amiche perché sapevo a memoria le canzoni del momento e me le faceva cantare. Quando mi hanno portato al primo concerto, proprio di Guccini al Palaeur a Roma, avevo un’emozione che non ho più dimenticato, ho capito lì che dare una forma ai pensieri attraverso la canzone era  come appoggiare le parole in uno spazio pulito e ordinato, la musica. Il pensiero che esistessero i cantautori mi faceva stare bene. Poi beh, io ero mancino e la chitarra era da destro. Solo a 23 anni mi è venuto di suonarla e pensa un po’? La prima canzone che imparai fu La Locomotiva...

Cosa senti di dover scrivere e cosa hai scritto, nel caso specifico di questo primo album, nelle tue canzoni?

Le dieci canzoni del mio album sono lo stato dei miei sentimenti di oggi, di quest’ultimo anno. Ho capito che scrivere senza aver vissuto non ha alcun senso.  Non ho fatto altro che tenere attenzione a ciò che mi accadeva. I pezzi sono nati da esperienze vissute, da solo o in relazione, i testi erano già lì come mi fossero stati in bocca da sempre. Controvento, ad esempio – il singolo uscito con Videoclip il 6 novembre – ha preso forma dopo una serata passata con Filippo Gatti, un modello per la mia generazione, non solo per la musica che ha scritto, ma per il modo in cui
intende il rapporto tra la musica e la vita.

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“Controvento” è il titolo del singolo che lancerà il tuo album. Cosa significa, per te, “contro vento”?

Quella canzone è dedicata prima di tutto a mio padre, alle sue battaglie con il viso esposto al vento, ma è anche un dialogo tra la sua generazione e la mia, misurando insieme i fallimenti di entrambe, i residui di una che restano come bombe inesplose nella successiva. Ma per arrivare a dire che nonostante tutto si combatte, fianco a fianco, quando si condivide la stessa passione, lo stesso obiettivo, lo stesso sangue.

Quindi alcuni tuoi pezzi possono essere considerati autobiografici?

L’autobiografia è una categoria abusata, ma ogni canzone in fondo lo è. Quando Guccini scrive La Locomotiva è vero che sta dando forma a una storia che non è propriamente sua, ma quella storia di ribellione contiene il proprio animo in rivolta, senza il quale non avrebbe avuto la sensibilità di scriverla. Quindi sì, c’è molto di autobiografico e credo ci sarà sempre.

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Quando canti cosa provi?

Sai che non lo so dire? Però riesco a sapere mentre pronuncio le parole quale espressione fa il mio volto, come mi vedessi a uno specchio, soprattutto quando ho davanti qualcuno che ascolta mi pare di provare i suoi di sentimenti, o che lui provi i miei.

Nell’album c’è anche un omaggio a uno dei più grandi registi, sceneggiatori, drammaturghi e scrittori del Novecento, Ingmar Bergman; il brano è la traccia numero 1 che apre tutto il lavoro e porta il titolo de “Il posto delle fragole”.  Qualcosa a che vedere con l’introspezione, con l’analisi di sé?

Il Posto delle Fragole non nasce in relazione al film, già di per sé di difficile interpretazione. Ma l’averlo visto negli anni precedenti ha via via portato il testo  verso quel riferimento, come se fosse in un angolo riposto che la memoria – già del film protagonista – è andata a cercare. Quindi è curioso: non è il tema della canzone, ma il mezzo con cui la canzone ha trovato una via definitiva.

Come mai non hai dato un vero e proprio titolo a questo tuo primo album?

C'è la volontà di non dare titolo all'album, cercando di sviluppare il linguaggio dell'immagine, appunto, come un’espressione propria e specifica. Il titolo è  indicibile, è "la foglia in copertina"; diventa di comodo il mio cognome – che è Nebbia, appunto – poiché questa società non ha ancora accettato che l'immagine  abbia un segno semantico forte che non ha bisogno, a volte, di parole.

 Quali sono i tuoi progetti per l’immediato futuro e per quello più distante?

Non è facile. Diciamo che l’obiettivo più grande è continuare a farlo. Per questo c’è bisogno di coraggio, di rinunce e sacrifici, oltre a quelli già fatti. Ma sai, ho provato a smettere tante volte... poi torno qua, metto le mani su una chitarra, si forma in mente una frase che è già melodia, allora mi sembra l’unica cosa possibile, l’unica cosa da fare. E allora ricomincio, come non avessi smesso mai.

Ti chiedo di descrivere la tua musica in 3 parole?

Presenza, Ferita, Esperienza

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