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Economia

La crisi del centro di Roma: "Pil a zero anche prima del Covid. Per il rilancio serve turismo di secondo livello"

Parla il fondatore di Roma Produttiva, Giulio Anticoli: “La criminalità con la liquidità è pronta a prendere il controllo delle imprese in crisi. I ristori? Cifre ridicole”

Giulio Anticoli è combattivo. Ha fondato alcuni anni fa “insieme ad altri 12 bottegai” l’Associazione delle botteghe storiche di Roma. Oggi presiede anche Roma Produttiva, un coordinamento di associazioni di strada che promuove il commercio capitolino. Combattivo sì, ma anche in sofferenza: la situazione era molto grave anche prima del fenomeno Coronavirus, ma questi mesi stanno dimostrando come la pandemia possa realmente mettere a dura prova il settore degli esercenti. Mentre era impegnato a curare il suo storico esercizio di abbigliamento al quartiere Africano, fondato nel 1955, lo abbiamo raggiunto al telefono.

Presidente Anticoli, lei ha affermato che teme per le mani della criminalità organizzata sul commercio romano. Cosa sta succedendo in città?

Non deve essere una sorpresa, tutti sanno che c’è un allarme malavita. D’altronde le condizioni con cui ci relazioniamo sono le migliori, direi quelle ideali, per il proliferare di fenomeni criminali. Quando un’azienda è strozzata dai debiti, soffocata, con due soldi la si può portare via e tra i soggetti più dotati di liquidità si sa che c’è la criminalità organizzata, anche se non è il solo soggetto oggi in azione. Tra via Crispi e via Sistina ci sono 25 botteghe chiuse, quest’ultima veniva chiamata “la via felice”. A via Frattina la situazione è uguale, e a via Nazionale le serrande abbassate iniziano ad essere evidenti. Queste sono le vie principali, ovviamente. Le traverse intanto sono già deserte da tempo, lì sorgono le piccole attività con capitali esteri di cui ben sappiamo: minimarket, frutterie, empori etnici. Il tessuto si trasforma e perde quelle caratteristiche della tradizione che hanno plasmato il nostro centro urbano. Credo che di questi microesercizi a Roma centro ce ne siano oltre 1500, questi sono i numeri che so.

La pandemia ha peggiorato molto il quadro, secondo i numeri di Confcommercio il 30% delle imprese sta pensando di non riaprire.

Vede, i sistemi urbani che funzionano prevedono e intercettano le crisi. A Parigi i centri commerciali che, ricordo, possono aprire solo a una certa distanza dal centro città, stanno contribuendo alle attività e così sostenendo le botteghe della tradizione nel cuore della metropoli. Noi non dovevamo aspettare che il centro venisse nullificato e debbo dire che da quando è stata approvata la legge Bersani sono iniziati i problemi, con liberalizzazioni a pioggia e la scomparsa dei requisiti di distanza minima fra due esercizi affini per categoria merceologica. Segnalo che a Roma centro oggi scarseggiano sartorie e tintorie e altri esercizi di servizi primari, ma tanto non si nota, perché non ci sono più nemmeno i cittadini, i residenti. Si poteva e si doveva fare diversamente, la legge Bersani consentiva una propria auto-sospensione nelle zone di pregio e nei quartieri storici. Intanto le attività di somministrazione, bar, ristoranti, hanno capacità economiche diverse rispetto alle botteghe, permettono i dehors, sono più redditizie nell’immediato ed ecco che i proprietari delle mura fanno le scelte per loro più profittevoli. E’ normale.

I ristori hanno aiutato a superare il momento più difficile?

Non mi parli dei ristori. Cifre ridicole. La mia attività esiste da 65 anni e ho preso un ammontare che non mi serve nemmeno a pagare un mese di affitto; di contro, durante il periodo di chiusura dato dall’ultimo lockdown, abbiamo dovuto pagare normalmente anche le scadenze degli F24 previste per il 16 marzo.

Ha intenzione di chiudere?

No, a questo punto diventa una sfida personale. Noi siamo botteghe storiche e abbiamo resistito negli anni perché, seguendo i migliori insegnamenti di Darwin, ci siamo saputi adattare. Non è il più forte che sopravvive, ma quello che si adatta meglio all’ambiente. Aprirò il marketplace online, come tanti; segnalo però che non è una festa: in questo modo perdo altra ricchezza e la faccio uscire dall’Italia, dato che le sedi legali di queste piattaforme spesso sono nei paradisi fiscali esteri. Però, fino a che le aziende italiane avranno il 75% di pressione fiscale e le grandi piattaforme commerciali il 2%, non vedo come potremmo fare diversamente.

Si potrebbe rispondere che è il mercato a decidere e probabilmente gli esercizi meno profittevoli sono destinati a chiudere.

Ma no, sarebbe un disastro per le nostre città. Provi a immaginare una strada senza negozi, è una strada buia e insicura. Inoltre la natura dell’uomo è quella di essere un animale sociale. Ancora, l’online non è per tutti, non tutta l’utenza e la clientela ha la facilità di utilizzare agilmente i servizi online e il negozio fisico rimane imprescindibile. Intanto i nostri figli tentano altre strade, spesso non fruttuose: provi oggi a chiedere di fare il rider per le piattaforme, lo sa che c’è la fila? E lì si prendono cifre irrisorie rischiando la vita. Io mi rifiuto di accettare questo sistema e penso che tutti dovrebbero ribellarsi: un mio commesso ha un contratto, il sindacato, la tutela e la pensione. Vedremo cosa accadrà quando si sbloccheranno i licenziamenti.

Alcuni consigli e richieste a chi si sta candidando a sindaco di Roma.

Dobbiamo innanzitutto ricordare che il pil romano era a zero anche prima del Covid. Per questo serve grande, grande attenzione alla città e alla sua attrattiva territoriale: bisogna fare delle cose, eventi, socialità per far venire le persone da fuori. Serve il cosiddetto turismo di secondo livello, quello che porta i turisti a tornare nella stessa città per motivazioni diverse dalle visite e dai viaggi. Sono essenziali momenti come congressi, fiere, appuntamenti culturali. A Milano si va per il salone del Mobile, a Monaco di Baviera per l’Oktoberfest, a New York per la Maratona: i dati ci dicono che un turista congressuale o delle fiere lascia sul territorio 1400 euro ogni due giorni e mezzo di permanenza. La Fiera di Roma tra l’altro non è assolutamente ben collegata con la città e la trovo una cosa incredibile: a Milano si arriva in fiera col treno. Potremmo almeno intanto sfruttare i nostri monumenti: se si proponesse di organizzare una sfilata di moda a piazza Navona, al Colosseo, a piazza di Spagna, vorrei davvero sapere chi potrebbe offrire una scenografia anche solo simile. Si vince in partenza. Le grandi boutique come Fendi o le Sorelle Fontana, la plissetteria a via Quintino Sella – che ha chiuso di recente – o tante altre attività che hanno reso protagonista la città eterna della moda internazionale nacquero perché essa venne scelta da Hollywood come set per i suoi kolossal; gli attori americani avevano da spendere e creavano così indotto. Sono cose che vanno sapute e messe in pratica, serve un sindaco che sia romano e che abbia molto orgoglio cittadino. Deve scendere tra la gente, ascoltare le esigenze: i romani sanno di cosa c’è bisogno.

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