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Economia

Come la guerra sta mettendo le mani nei portafogli dei romani

Lo scoppio del conflitto ha aumentato ulteriormente il costo di energia e carburanti: filiera ittica e agroalimentare in crisi, e il prezzo della spesa aumenta

Pane e pasta, ma anche biscotti e altri prodotti a base di grano, e poi carne, pesce, verdure. La guerra in Ucraina, oltre a causare la morte di migliaia di persone e a distruggere un intero Paese, ha pesantissime ricadute anche sull’economia e tocca da vicino anche i portafogli dei romani. Che oltre a pagare bollette salatissime, per riempire il carrello della spesa dovranno spendere (almeno) tra il 5 e il 10% in più, secondo le stime del Centro Agroalimentare Roma, una tra le più importanti strutture a livello europeo per la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e ittici.

Al centro del caro prezzi c’è ovviamente l’aumento del costo dell’energia e dei carburanti. Che ha prodotto, sta producendo e produrrà un domino che, dalle città devastate dell’Ucraina, arriva sino alla Capitale. A confermarlo non ci sono soltanto le foto, ampiamente diffuse sui social, dei distributori che testimoniano come il prezzo al litro abbia ormai sfondato il tetto dei due euro, ma anche lo stato di agitazione di diversi altri settori.

"La situazione andrà a peggiorare, è indubbio - conferma a RomaToday Fabio Massimo Pallottini, direttore del Car - Ovviamente parliamo di una situazione che evolve giorno per giorno, ma se pensiamo a quanto è aumentato il carburante nell’ultima settimane e a quanto incide il trasporto dei prodotti agroalimentari sulle voci di spesa della filiera, anche solo questo determinerà aumento. Vedo anche un rischio legato a un problema speculare, che è quello della crisi dei consumi: il consumatore medio deve dedicare una parte maggiore del proprio reddito per scaldarsi e spostarsi, e spenderà meno per consumare, un dato drammaticamente vero per le prossime settimane e mesi".

Pescherecci fermi, e il prezzo del pesce schizza alle stelle

In quello ittico, in particolare, i titolari dei pescherecci di gran parte del litorale laziale (e italiano) hanno annunciato che resteranno fermi sino al 13 marzo per protestare proprio contro il caro gasolio. I primi a incrociare le braccia, lunedì, erano stati quelli di Fiumicino, poi si sono aggiunti Civitavecchia, Anzio e Terracina, una protesta che si è allargata a macchia d’olio ad aziende e cooperative che hanno valutato che la spesa per l’uscita giornaliera non viene compensata dai guadagni. Il che significa che il pesce inizierà a scarseggiare, e che le pescherie saranno costrette ad applicare rincari anche molto pesanti sui prezzi dei pochi prodotti che è ancora possibile acquistare alle aste locali.

Anche la grande distribuzione ne pagherà le conseguenze, perché se è vero che il pesce continua ad arrivare dall’estero - Olanda, Danimarca, Turchia tanto per citare alcuni Paesi - l’ingranaggio si inceppa nuovamente quando si arriva al trasporto: la logistica è alimentata dal carburante e, per prodotti come il pesce, anche da un sistema di trasporto a freddo che richiede dispendio energetico. E si torna al punto di partenza, perché anche gli autotrasportatori minacciano di scioperare a causa degli aumenti (in Sardegna è già stato proclamato per lunedì).

Già a febbraio d’altronde Federpesca aveva denunciato un aumento del gasolio del 60% rispetto allo scorso anno, e per i titolari dei pescherecci l’impatto della guerra sul costo dei carburanti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendoli anche a organizzare un presidio a piazza Sant’Apostoli, mercoledì, per chiedere l’intervento del governo a sostegno della filiera. A farne le spese saranno anche i consumatori, che troveranno sempre meno pesce locale e a prezzi sempre più alti: «I rincari sono ancora contenuti ma destinati ad ulteriori rialzi - ha sottolineato il Car - non possono essere completamente scaricati sui consumatori, è necessario trovare soluzioni per contenerli».

Agricoltura in crisi: cala la produzione delle materie prime e aumentano i costi

Anche nel settore agricolo la situazione è sempre più tesa e complessa. In uno scenario in cui le famiglie romane fanno i conti con l’aumento delle bollette, e in cui i condomini iniziano a spegnere i riscaldamenti nonostante le rigide temperature per risparmiare il più possibile, beni di largo consumo come pane, pasta, cereali e verdura sono destinati inevitabilmente a costare di più.

Per due motivi principali: da un lato l’interruzione del flusso di materie prime dall’Ucraina, visto che secondo le stime di Confagricoltura l'Italia importa almeno 700 milioni di produzioni agricole dal Paese in guerra, tra cui mais, soia e soprattutto grano. Meno approvvigionamento significa meno prodotto, meno prodotto comporta un aumento dei prezzi per quello a disposizione e conseguenze anche sulla filiera delle carni, perché gli allevamenti foraggiano mucche, maiali e polli con mangimi a base di grano e mais e sono costretti a tagliare la produzione di latte, carne e uova.

Anche qui, un duro colpo a un settore in crisi già prima dello scoppio della guerra: secondo l’ultima indagine Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, ha raggiunto i 46 centesimi al litro, di molto superiore rispetto ai 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori. Frumento tenero, frumento duro e mais hanno raggiunto in Italia e all'estero quotazioni mai toccate prima, il grano ha registrato un aumento del 40,6% in una settimana per un valore ai massimi da 14 anni di 12,09 dollari per bushel (27,2 chili) che non si raggiungeva dal 2008.

“La zootecnia non riesce più sostenere i costi per l’acquisto dei mangimi per il bestiame e deve fare i conti con le speculazioni - sottolinea David Granieri, presidente di Coldiretti Lazio - L’ortofrutta fa i conti con i prezzi del gasolio agricolo triplicato per i trattori, così come per i fertilizzanti. Il florovivaismo necessita di scaldare le serre e fa fatica a saldare le bollette dell’energia elettrica e gas ormai lievitati”.

Le conseguenze sui carrelli della spesa dei romani

Se alla situazione attuale si aggiungono i due anni di pandemia, per l’intera filiera agricola, che da sola assorbe il 10% dei consumi energetici, il momento attuale è il peggiore registrato da oltre 10 anni: “Il caro energia mette a rischio le forniture di cibo e alimenta le speculazioni, con costi insostenibili per gli agricoltori e l’inflazione nel carrello della spesa con prezzi troppo alti per cinque milioni di italiani, che sono già nell’area della povertà alimentare”, sottolinea ancora Granieri. Che ha chiesto alla Regione Lazio lo stato di crisi del settore agricolo, sottolineando come con il costo delle materie prime, già prima della guerra, fosse già arrivato a un aumento che va dal 50% al 150%.

Anche qui, arrivando all’anello finale della catena della filiera, la crisi si abbatte sulle tasche dei romani. Che nei giorni e nelle settimane a venire affronteranno rincari su benzina, gas, bollette della luce, carrello della spesa, sia che venga riempito al supermercato sia che dipenda invece dagli acquisti dei mercati rionali. Acquistare frutta, verdura, carne e pesce diventa, insomma, più costoso, e alcuni prodotti inizieranno inevitabilmente a scarseggiare: “Se la guerra dovesse proseguire a lungo, le conseguenze sarebbero molto pesanti - conferma Pallottini - perché la filiera produttiva del settore agroalimentare non riuscirebbe più ad assorbire, pagandone i costi, gli effetti dell'inflazione”.

"Prediligere i prodotti locali per frutta e verdura"

"Noi nel Lazio abbiamo il vantaggio che il prodotto locale viaggia meno e c’è un'opportunità straordinaria, mi sentirei di dire ai nostri consumatori, mai come oggi, che consumare locale è una scelta intelligente - sottolinea ancora Pallottini - non solo per la qualità, ma anche per il portafoglio. Sicuramente tra i prodotti locali a rischio ci sono quelli ittici. Abbiamo i nostri pescatori sul piede di guerra e fermi e c'è carenza, al mercato del pesce in questi giorni non c’era prodotto locale. Per la parte ortofrutticola il prodotto c’è, e come detto conviene aquiatare soprattutto quello locale, ma c'è un po’ di preoccupazione sui prodotti come pane, e pasta, soprattutto pane, che richiede grano tenero che arrivava in gran parte dai paesi dell’Est, e questo un po’ di preoccupazione ce la sta dando. Di certo c'è un'aspettativa negativa e questo non è mai bene, dobbiamo aspettarci aumenti ulteriori, anche se a oggi è ancora impossibile quantificarli".

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