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Economia

Il tracollo delle imprese di ristorazione: nel Lazio spariti quasi 2mila esercizi

Rapporto Confesercenti FIPE: il 2020 ha visto la chiusura di quasi 13mila imprenditori. Quasi il 100% delle aziende denuncia un fatturato ridotto o azzerato

Un rapporto della FIPE Confesercenti fa il punto sulla situazione delle imprese di pubblico esercizio all’indomani della fase pandemica: pur prendendo in esame soprattutto lo scenario 2020, lo studio viene completato anche dalle più recenti statistiche che arrivano fino a marzo 2021. L’indice di natimortalità degli esercizi di somministrazione mostra una situazione drammatica, con 9mila nuove imprese aperte nel periodo preso in analisi e oltre 22mila cessate, con un saldo negativo che si posiziona dunque intorno alle 13mila unità a livello nazionale. Il Lazio è fra le regioni più colpite: persi 800 bar e 900 ristoranti, oltre a 25 ditte di mense. Non solo: il livello dei consumi pro capite riguardo al settore ristorazione si pone a 915 € nei 12 mesi del 2020, arrivando ad essere inferiore all’indice attualizzato del 1994 che è di 927 €. Il Coronavirus ha comportato un tuffo nel passato, insomma, di quasi 25 anni.

Il settore ristorazione avrebbe perso oltre il 35% del giro d’affari stimato in termini reali, mentre il settore del consumo domestico ha visto il suo valore crescere del 4,3%. Segno dunque di un apprezzamento da parte dei cittadini per le risorse del delivery (il 33% dei ristoratori ha implementato questo servizio), che però non riesce a compensare la botta ricevuta dal comparto esercizi pubblici. Un altro numero di grande impatto: praticamente il 60% delle imprese denuncia un fatturato ridotto di oltre il 50%, mentre il 35% riporta un fatturato ridotto fra il 10 e il 50%. Sommato alle imprese che comunicano un fatturato azzerato si arriva al 97,5% di imprese che denunciano di aver visto i propri ingressi in cassa nel 2020.

Tre quarti dei rispondenti hanno beneficiato delle misure di ristoro, ma circa il 90% di essi sostiene che essi hanno aiutato poco o per nulla: secondo più dell’80% il ristoro ha aiutato fino a non più del 10% del fatturato perduto. Oltre all’introduzione dei servizi a domicilio, le soluzioni adottate dai ristoratori hanno compreso l’utilizzo “al massimo” dei dehors o di spazi all’aperto, l’introduzione di menu pensati per l’asporto e le soluzioni smart di prenotazione “in modo da evitare la fila nel locale”. Tutto ciò premesso, il settore appare pronto a ripartire, se è vero che l’85% delle imprese pensa che terminata la fase pandemica si potranno tornare a svolgere le attività almeno come nel 2018: molti pensano però anche che il Coronavirus possa aver insegnato qualcosa e che il business terrà conto dei mesi passati in ristrettezze.

Ad esempio, secondo un terzo degli esercizi il take away e i servizi di delivery sono qui per rimanere, come d’altronde l’attenzione della clientela al prodotto di qualità, imparata in lunghe ricerche sul web e grazie ai food influencer: marketing e comunicazione dovranno farla allora da padrone nella prossima fase. Per il 2021, circa il 55% dei rispondenti si attende una flessione di fatturato più contenuta, nell’intorno del 20%; secondo il parere dei ristoratori, ad essere particolarmente penalizzati saranno nello specifico i punti vendita, ovvero appunto ristoranti ed esercizi; i distributori e la filiera agroalimentare riusciranno invece a reggere botta in maniera più efficace. Equamente distribuite le aspettative di ritorno al pre-pandemia: un terzo, un terzo e un terzo sono le risposte di chi punta i target del 2022, 2023 e 2024. 

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