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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Dossier Sanità

I bambini con disturbi del neurosviluppo abbandonati dalla sanità pubblica

A dispetto delle indicazioni del ministero della Salute, che consigliano diagnosi e terapie immediate e intensive, nel Lazio le tempistiche per la presa in carico di bambini con disturbi come autismo o dell'attenzione e iperattività sono lunghissime

Un anno per la diagnosi, fino a dieci per l’inizio di una terapia nel pubblico. Le famiglie di bambini con disturbi del neurosviluppo dell'età evolutiva sono costrette a rivolgersi al privato. Con spese, per chi può sostenerle, fino a 20mila euro l’anno, per cicli di terapia cognitivo comportamentale che le Asl (e i centri convenzionati cui le aziende sanitarie rimandano) non sono in grado di erogare. Tutto questo, nonostante le raccomandazioni dei ministero della Salute e dei più recenti protocolli medici internazionali in materia di trattamento di autismo, disturbo dell’attenzione, iperattività, riguardo la necessità di una rapida presa in carico e di trattamenti prolungati e intensivi. Presso i pochi distretti organizzati di Roma le liste di attesa sono infinite.

Le lungaggini riguardano migliaia di minori. Per avere un’idea dei numeri, è autistico un bambino su 77 nella fascia di età dai 7 ai nove anni, mentre circa il 5% dei minori tra i 6 e i 17 anni presenta sintomi da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Nelle tre Asl del Comune di Roma ci sono circa 318.000 minori tra i 6 e i 17 anni "Secondo quanto elaborato dall'Associazione Italiana Famiglie ADHD - afferma Patrizia Stacconi, presidente di AIFA Aps-  è possibile quindi stimare 15.800  bambini e adolescenti con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, di cui, volendo considerare i criteri più cauti, circa 3.200 con ADHD grave".

“Siamo alla terza causa contro la asl Roma 1 che adesso è arrivata a rimborsare le ore di terapie che siamo costretti a sostenere nel privato” racconta il padre di un bambino autistico della Capitale. Non avendo risorse per erogare il servizio terapeutico, le aziende sanitarie si trovano a emettere diagnosi che necessitano poi la pianificazione di percorsi che non sono in grado di offrire. Dopo una diagnosi di autismo nel 2017 presso l’ospedale Bambin Gesù, accompagnata dalla raccomandazione di intraprendere una terapia ABA, acronimo inglese di Applied Behavioral Analysis, tecnica utile a migliorare le abilità comunicative e ridurre i comportamenti disfunzionali, la famiglia si è rivolta alla Asl di competenza per la presa in carico del figlio

Minore con disturbo di autismo

La risposta è stata un foglio con una lista di centri convenzionati presso i quali mettersi in lista e aspettare, anche alcuni anni, per iniziare una terapia. Non l’ABA, che nel Lazio non risulta ancora tra le terapie convenzionate. “Abbiamo iniziato un percorso con la Croce Rossa, sempre in convenzione con la Asl, assolutamente insufficiente per le esigenze del bambino. Le terapie comportamentali, consigliate dalla ricerca scientifica, non sono contemplate: c’è solo un centro che però prende in carico dall’undicesimo anno del bambino”, racconta il genitore. Il tempo intanto  passa e, di fronte alla necessità di agire con urgenza su disturbi che non possono che peggiorare, se non riconosciuti e adeguatamente seguiti, si aggiungono decine di ore presso specialisti privati. 

Stesse lungaggini e spese simili sono affrontate dai genitori di bambini con ADHD. C. ha due figli gemelli di 14 anni che oltre a questo disturbo hanno alcuni DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) come disgrafia, dislessia e discalculia. Una situazione complessa che gioverebbe esclusivamente di un approccio integrato, impossibile da trovare nel servizio sanitario pubblico. “I miei figli hanno fatto la prima visita al Tmsree (i servizi per la tutela della salute mentale e la riabilitazione in età evolutiva) quando avevano tre anni, 11 anni fa”, racconta C. “La dottoressa della Asl ha assegnato loro una terapia a marzo di quest’anno”, commenta amara.”Nel frattempo, fino ai nove anni, sono stati presi in carico da una struttura convenzionata che li segue esclusivamente fino alla quinta elementare e che ha un approccio limitato alla logopedia e alla psicomotricità”. 

Per la diagnosi di ADHD a Roma ci vogliono dai 6 ai 12 mesi. Molte famiglie si rivolgono ai Centri di diagnosi e cura per l’ADHD di terzo livello riconosciuti dalla Regione Lazio (Policlinico di Tor Vergata, Policlinico Umberto I, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Fondazione Policlinico Gemelli e Campus Biomedico) dove l’attesa per valutazione e diagnosi può essere più breve. Ottenuta la diagnosi, il vero problema diventa iniziare le terapie. Anche per le strutture convenzionate, che offrono comunque un pacchetto di ore inferiore a quelle suggerite da qualsiasi piano terapeutico, le liste di attesa sono lunghissime, anche oltre i due anni. E l’approccio non sempre è quello più funzionale. “Al primo centro convenzionato dove siamo andati adottavano una prospettiva psicoanalitica e non riconoscevano l'ADHD”.  Per la terapia comportamentale, fondamentale anche nella cura di questo tipo di disturbi, la donna ha dovuto rivolgersi al privato. 

Alla Asl una dottoressa si è lamentata perché usiamo i loro servizi solo per ottenere documenti. Cosa altro dovremmo fare? Aspettare le loro tempistiche per le terapie?

N. padre di un ragazzo autistico

“C’è poco personale e poco interesse a creare dei percorsi dedicati, parliamo di problematiche non nuove ma che sono esplose negli ultimi anni, con una maggiore capacità di diagnosi”, spiega Cristina Lemme, Presidente dell'associazione ADHD LAZIO ODV. “Quando nel 2007 individuarono i centri di riferimento per le ADHD, non è stata prevista alcuna ora in più, è stato solo addossato questo lavoro aggiuntivo. La Asl non prende in carico e si trasforma in un documentificio, utile solo a emettere le diagnosi che servono per rivolgersi all’Inps e chiedere aiuti come la 104. Dal punto di vista terapeutico non riescono a fare praticamente niente”. Migliaia di persone, così, finiscono nel sommerso. A volte nelle mani di guaritori dai curricula dubbi. Altre volte ignorati e non seguiti, soprattutto quando non ci sono le famiglie hanno risorse economiche limitate. I bambini allora crescono e diventano adulti non autonomi né a livello lavorativo né sociale e finendo in futuro per pesare sul servizio sanitario in altro modo. 

L’anno scorso, con modifica alla legge regionale di stabilità 2021, la giunta regionale si è impegnata a emettere, entro 90 giorni, delle linee guida per la presa in carico di soggetti affetti da disturbo dell’attenzione e iperattività. Già annunciate a febbraio 2020, e bloccate dall’incedere della pandemia, le istruzioni dell’assessorato dovrebbero contribuire a fare maggiore chiarezza sui percorsi di diagnosi e cura di questi disturbi. Per stabilirle si è deciso di costituire un gruppo di lavoro per la definizione di procedure uniformi. Il comitato sarà in carica fino al 31 dicembre 2022. Con delibera del 28 giugno 2022, inoltre, il consiglio regionale del Lazio ha stanziato quasi 50 milioni di euro per abbattere le liste di attesa presso le varie Asl. 

“Le delibere ci sono, a livello nazionale e regionale, ma mancano operatori e formazione” denuncia Stefania Stellino, presidente di Angsa Lazio, associazione di genitori di persone con autismo. “Sarebbe necessaria l’attivazione dei piani di assistenza individuale (PAI) che non partono per mancanza di operatori. Si sprecano tante risorse per misure spot come i 700 euro mensili previsti dal progetto efamily della regione Lazio”. Il sostegno mensile, erogato in buoni servizio finalizzati al pagamento dei servizi di assistenza per le persone non autosufficienti nel territorio della Regione Lazio, è stato attivo per 12 mesi e prevedeva la possibilità per le famiglie di acquistare un servizio da una cooperativa o assumere un operatore per le esigenze del bambino. 

Il progetto della regione dedicato a famiglie con ISEE inferiore a 8mila euro annui-2

“Era una boccata d’ossigeno per le famiglie, è finito il finanziamento, non ci hanno più fatto sapere nulla”, spiega Stellino. “Alcune famiglie avevano assunto persone con contratti, impegnandosi in percorsi di lungo periodo, si sono trovati a licenziare o a tirare fuori i soldi da qualche altra parte per mantenere il piano terapeutico”. Un’altra recentissima iniziativa regionale prevede un contributo fino a 5000 euro per i trattamenti erogati da professionisti privati in sostegno a minori nello spettro autistico fino ai 12 anni di età. Un aiuto apparentemente consistente ma dedicato a nuclei familiari con ISEE inferiore agli 8mila euro annui. Misure a macchia di leopardo che non rispondono a una domanda di servizi integrati. 

Se Roma piange, la provincia certo non se la passa meglio. Nei piccoli comuni, dove i servizi sono inesistenti, possono accadere paradossi come quello denunciato da una famiglia di Riofreddo, borgo di confine tra la città metropolitana di Roma e l’Abruzzo. I genitori di un bambino autistico hanno formalmente un’assistenza domiciliare garantita dalla Asl di riferimento, ma non riescono ad attivare il servizio perché non c’è personale che possa raggiungere la località di montagna. O ancora la situazione disperata segnalata da una famiglia di Ladispoli, rimandata dalla Asl Rm4 ai servizi convenzionati più vicini. L’unico esistente è quello di Cerveteri dove la lista di attesa è dai 3 ai 5 anni. Un dramma per chi non può permettersi cure da migliaia di euro e deve rassegnarsi a un lento peggioramento delle condizioni di salute del proprio figlio. 

Per segnalare le vostre storie potete scrivere a dossier@romatoday.it

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