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Dossier Caccia al tesoro

Il litio italiano che fa gola agli australiani. La febbre dell'oro (bianco) tra Roma e Viterbo

Dopo Vulcan Energy anche la connazionale Altamin si iscrive alla corsa all'oro bianco del sottosuolo laziale. Che un giorno potrebbe anche alimentare la prima gigafactory italiana

Dopo l’australiana Vulcan Energy, di cui vi abbiamo già raccontato, anche la connazionale Altamin si iscrive alla corsa al litio nel sottosuolo laziale. Negli ultimi mesi l’azienda con sede a South Perth ha presentato alla regione Lazio ben quattro istanze di permesso di ricerca mineraria, denominate “Campagnano”, “Galeria”, “Latera” e “Ferento”. Assieme coprono oltre 10mila ettari, circa 14500 campi da calcio. Una distesa di terra e rocce dove Altamin, che nel nostro paese opera tramite la società controllata Energia Minerals Italia, spera di scovare enormi giacimenti di litio. Magari in grado di alimentare anche la gigafactory italiana che sorgerà a Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone.

Campagnano

Il primo permesso di ricerca, chiesto il 9 febbraio e ormai prossimo ad essere rilasciato, riguarda un’area di 1213 ettari che si snoda tra i comuni di Campagnano di Roma e Nepi, a circa 7km dalla sponda orientale del lago di Bracciano. Sull’istanza presentata alla regione Lazio, che RomaToday ha potuto visionare, si precisa che la zona in questione confina ma non si sovrappone mai con quella del permesso di ricerca “Cesano”, già ottenuto dalla concorrente Vulcan Energy. Nelle brine geotermiche estratte in quest’area, negli anni ‘70, Enel trovò una concentrazione di litio pari a 350 mg/l. Quasi il doppio, spiega Altamin in un comunicato, rispetto a quelli rinvenuti a Salton Sea, in California, il più grande campo geotermico degli Stati Uniti. Per ora il programma dei lavori redatto da Energia Minerals prevede solo una serie di studi, analisi di dati e prelievi sul territorio da parte di tre geologi di fiducia. Niente scavi o trivellazioni, dunque, tanto che il 15 aprile la regione Lazio ha deciso che non servirà alcuna valutazione di impatto ambientale per la fase 1 del progetto. Le informazioni raccolte in questa fase, che durerà due anni e costerà all’azienda australiana 350mila euro in tutto (150mila per il primo anno e 200mila per il secondo), serviranno a capire se e quanto litio si nasconde effettivamente sotto terra.

Nel sottosuolo di Campagnano potrebbe esserci una concentrazione di litio in media molto superiore a quella di Salton Sea, California, il più grande campo geotermico degli Stati Uniti.

ALTAMIN (COMUNICATO STAMPA)

Galeria

Il 9 febbraio, oltre a quello per Campagnano, Energia minerals ha chiesto anche un permesso di ricerca di litio nei pressi di Galeria. Sulle carte consegnate alla regione Lazio è disegnato un enorme trapezio di 2043 ettari, che ha i suoi vertici nei comuni di Roma e Anguillara Sabazia. La zona interessata è forse l’unica differenza rispetto al permesso di ricerca “Campagnano”. Per il resto, si legge sull’istanza, “i due permessi condividono obbiettivi e programmi di lavoro identici”, che in caso di via libera da parte della regione “verranno condotti contemporaneamente”. Va da sé che i costi della prima fase dei lavori del permesso Galeria, anche qui curati da tre geologi, saranno inclusi nel programma di spesa del progetto “Campagnano”.

Latera

Più di recente Energia Minerals ha presentato altre due istanze di permesso di ricerca mineraria. La prima, arrivata negli uffici della regione Lazio il 17 maggio, si chiama “Latera”, si trova in mezzo ai laghi di Mezzano e Bolsena e interessa 913 ettari divisi tra i comuni di Valentano e appunto Latera, che sono già stati avvisati dell’avvio del procedimento. Il programma dei lavori è pressoché identico a quelli precedenti (una prima fase di due anni curata da tre geologi), ma trattandosi di un’area più piccola i costi preventivati da Energia Minerals sono inferiori. La fase 1, si legge sull’istanza, costerà 150mila euro, 50mila per il primo anno e 100 mila per il secondo.

Ferento

L’ultima istanza, presentata il 23 maggio da Energia Minerals, riguarda il permesso di ricerca “Ferento”, che interessa un’enorme area a sud est del lago di Bolsena, nel comune di Viterbo. 5983 ettari in tutto, molti di più delle 3 precedenti istanze messe assieme, in un gigantesco rettangolo che a nord ha per vertici la zona industriale dell’Acquarossa e Valle Castellone (frazione di Viterbo), e a sud l’uscita della superstrada per Vetralla e Pian di Legname, altro piccolo borgo del viterbese. Anche qui, si legge nell’istanza, “le attività programmate in questa fase del progetto si baseranno su analisi di dati esistenti, interpretazione di immagini satellitari e foto aeree, geologia, che non comportano interferenze con l’ambiente”. Pur trattandosi di un’area oltre 6 volte più grande il costo della fase 1 sarà identico a quello del permesso Latera: 150mila euro, spalmati in due anni a partire dal rilascio del permesso di ricerca.

La gigafactory italiana

Il polo logistico dove sorgerà la prima gigafactory italiana

Nel frattempo, il 15 giugno, il consorzio industriale del Lazio ha annunciato in pompa magna la nascita del centro nazionale di produzione di batterie al litio. La fabbrica sorgerà nel polo della logistica e della flessibilità di Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone. A gestirla sarà Power4Future, joint venture di Fincantieri e del gruppo Faist. L’accordo siglato prevede un investimento di circa 20 milioni di euro nella prima gigafactory italiana, che darà lavoro ad almeno 45 professionisti “con la prospettiva di crescere ancora nel tempo”, spiega a RomaToday Francesco De Angelis, presidente del consorzio per lo sviluppo industriale di Frosinone. L’ufficio stampa di Fincantieri fa sapere che “la produzione vera e propria comincerà tra la fine di quest’anno e il primo trimestre del 2023”, e una volta a regime raggiungerà “la capacità di 400 megawatt l’ora”. Una buona notizia per il tessuto economico della provincia, dove tra l’altro è presente da tempo anche uno stabilimento di Stellantis. Almeno in una prima fase il litio necessario ad alimentare la filiera “arriverà principalmente dal nord Europa e dal sud est asiatico”. Ma in futuro, confermano da Fincantieri, se le ricerche di Vulcan Energy e Altamin dovessero avere successo la gigafactory potrebbe essere alimentata proprio dal litio “italiano” nascosto del sottosuolo laziale. Estratto però da aziende straniere.

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