A Roma aumentano i casi di violenza sessuale tra le giovanissime
A marzo, mese in cui si celebra la giornata internazionale della donna, il centro antiviolenza di via Titano compie un anno: il bilancio di 12 mesi di attività
Centinaia di donne accolte, moltissime giovani, vittime di violenze sessuali da parte di persone che spesso fanno parte della loro cerchia di conoscenze. Ragazzi e uomini con cui hanno iniziato una frequentazione o una relazione, che hanno ignorato il loro "no" violentandole e approfittando di quel poco di fiducia che gli era stato accordato.
I casi di questo genere aumentano, e la conferma arriva da chi queste donne le aiuta quotidianamente, concentrando gli sforzi nel farle uscire da situazioni di abuso e violenza e accompagnandole nel difficile percorso di ripresa e rinascita: le associazioni e le operatrici dei centri antiviolenza, impegnate nel far fronte a una piaga che di giorno in giorno assume proporzioni sempre più allarmanti. E miete vittime sempre più giovani, come conferma Alessia D’Innocenzo, referente prevenzione e responsabile del centro antiviolenza romano di Differenza Donna.
"Quasi sempre gli stupri avvengono all'interno di relazioni nate da poco"
Differenza Donna è nata a Roma il 6 marzo 1989, e da ormai 33 anni si occupa della lotta alla violenza di genere. Il loro centro antiviolenza (cav) di viale di Villa Pamphilj è stato il primo ad aprire nel centro-sud Italia, e oggi gestisce oltre 20 tra cav, case rifugio, case di semi autonomia, sportelli rosa. L'associazione è anche responsabile del 1522, il numero verde antiviolenza e stalking promosso dal Ministero, e l'enorme lavoro sul campo consente alle operatrici anche di monitorare la situazione sul territorio.
"Abbiamo riscontrato un aumento di segnalazioni da parte di giovani e giovanissime, la maggior parte delle tipologie di reato sono sicuramente i maltrattamenti domestici da parte familiari, partner ed ex partner, stalking e violenza sessuale - conferma a RomaToday D'Innocenzo - L'età in questi ultimi casi oscilla tra i 18 e i 26 anni, ragazze e donne molto giovani vittime di stupri quasi sempre all'interno di relazioni più o meno lunghe e più o meno importanti. Che sono poi quelle più difficili da portare in tribunale per l'altissimo rischio di vittimizzazione secondaria: le vittime si trovano a doversi giustificare, si sentono responsabili per quanto accaduto alla luce delle circostanze in cui si è verificato. Molte violenze sessuali si basano sulla questione del consenso: alcune ragazze sono portate a pensare che frequentando il proprio violentatore abbiano in qualche modo colpa della violenza, invece per noi è fondamentale educare al consenso. Per questo motivo andiamo anche nelle scuole. e facciamo moltissimo lavoro di prevenzione tra i più giovani".
Violenze e abusi sfruttando anche la tecnologia
Essendo i giovanissimi, inoltre, la fascia di popolazione che più sfrutta la tecnologia per la comunicazione e l'interazione, aumentano tra loro anche nuove tipologie di reati sessuali, come il cyber flashing - la ricezione indesiderata di foto pornografiche tramite app o chat - il revenge porn e la diffusione di materiale fotografico o video condiviso in quella che soltanto all'apparenza era una condizione di fiducia e intimità.
"Tante ragazze hanno iniziato a conoscere ragazzi tramite app e chat, non solo di incontri ma anche nate per l'apprendimento, per esempio - conferma D'Innocenzo - La conoscenza può trasformarsi in frequentazione, anche virtuale, e capita sempre più spesso che gli uomini violenti o abusanti sfruttino queste tecnologie. Riceviamo anche tantissime donne sposate, o in una relazione stabile, che sono convinte che non possa esistere violenza sessuale all’interno della coppia. Che acconsentire al sesso con il compagno, spesso violento psicologicamente o anche fisicamente, sia una condizione necessaria, una pretesa legittima cui non ci si può ribellare. Parliamo di donne anche molto diverse tra loro, di diversa estrazione sociale, con professionalità differenti, accomunata dal fatto che non c’è subito un riconoscimento dell'essere vittima di quella che è una vera violenza sessuale. E questo capita anche tra le giovanissime, più fragili per certi versi e più facili al condizionamento".
"Le richieste di aiuto da parte delle giovanissime sono aumentate"
I dati generali vengono confermati anche dal centro antiviolenza di via Titano, la struttura gestita dall’Associazione Casa delle Donne Lucha y Siesta in collaborazione con il Municipio III, che proprio nei giorni scorsi ha tirato le somme di un anno di attività. E il bilancio è, se possibile, tanto preoccupante quanto incoraggiante.
Incoraggiante perché, come confermano le operatrici dei centri antiviolenza attivi sul territorio romano, c’è un maggiore riconoscimento dei servizi antiviolenza, e sempre più donne riconoscono in queste strutture presidi e punti di riferimento per iniziare un percorso di uscita da una situazione di violenza e per chiedere aiuto. Preoccupante perché le richieste sono tante, tantissime, e aumentano quelle che arrivano da ragazze giovanissime: “In un anno abbiamo aiutato 212 donne - conferma Michela, attivista di Lucha y Siesta - Le operatrici del cav hanno distinto i casi sulla base delle richieste e della tipologia di violenza. Ciò che colpisce è il numero altissimo di richieste, tenuto conto che si tratta di una struttura nuova, che ha appena aperto e deve ancora costruire la rete e farsi conoscere sul territorio”.
Il primo dato allarmante riguarda il numero di ragazze molto giovani che si sono rivolte al centro per violenza sessuale: “Stiamo parlando di una trentina di casi, dato che non può che suscitare preoccupazione - prosegue l’attivista - A questi casi si sommano quelli di violenza domestica, violenza psicologica, stalking”.
Mancano le case rifugio e luoghi di accoglienza a lungo termine
Al cav di via Titano le donne possono contare, oltre che sulle operatrici, anche su avvocate, psicologhe e mediatrici culturali: un centro polifunzionale pensato per far sentire le donne al sicuro, ascoltate e comprese, che può portare a termine con successo la sua missione soltanto attraverso un lavoro di rete con i servizi territoriali e tutti gli enti istituzionali preposti. Per questo, proseguono da Lucha y Siesta, “è fondamentale rendere operativo quanto prima il Protocollo di intesa per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere nel Municipio III non solo sul nostro territorio, ma in tutta la città”.
“Il cav segue le linee guida regionali, che prevedono apertura tutti i giorni e reperibilità h24 con diverse professionalità - spiega ancora Michela - in questi anni a Roma si è fatto un grande lavoro per diffondere la cultura dei centri antiviolenza, che soffrono ancora molto della mancanza di luoghi di accoglienza a lungo termine. Le donne che devono lasciare la loro abitazione per sottrarsi al maltrattante hanno come prima necessità spesso trovare un altro alloggio, e non ci sono strutture dedicate a un’assistenza di questo tipo. Alla luce di questa mancanza il lavoro del centro è messo in discussione, perché la donna spesso col maltrattante convive, e il centro è un servizio di sportello e accoglienza, non una residenza”.
Senza una casa dove trasferirsi e senza un lavoro che garantisca l’autonomia economica, per la stragrande maggioranza delle donne è difficile, se non impossibile, ricominciare: “Servono case rifugio riservate alle donne che sono in pericolo di vita imminente e case di semi autonomia, dove una donna che ha un lavoro ed è già in una fase matura di uscita dalla situazione di violenza può iniziare un percorso e riattivarsi - conferma Michela - Quando le operatrici dei centri anti violenza non hanno risposte di accoglienza specifiche si attinge spesso all’accoglienza generica come case famiglia e in generale strutture che non sono dedicati a donne che escono dalla violenza: la donna non ha rete, ed è tutto molto più difficile”.
L’importanza della rete territoriale
Negli ultimi due anni il lavoro di Lucha y Siesta, così come delle altre associazioni in prima fila per la lotta contro la violenza di genere, non si è mai fermato. Nei primi mesi di pandemia e con i primi lockdown gli sforzi si sono concentrati sul trovare mezzi e metodi alternativi per aiutare le donne, impossibilitate a uscire di casa per raggiungere i centri e controllate a vista da partner abusanti bloccati in casa con loro.
Dopo un primo stop alle richieste il sistema ha ricominciato a funzionare regolarmente e le richieste sono ricominciate, a fiume. A fare la differenza è il modo in cui il territorio fa quadrato intorno alla vittima di violenza, offrendo supporto da diversi punti di vista: “I centri sono anche di più, ma funzionano dove c’è una rete territoriale strutturata, dove le operatrici hanno contatti con le scuole, i servizi sociali, i centri per l’apprendimento dedicati, le palestre, i centri estivi - spiega ancora Michela - se la rete nel territorio è consapevole che c’è un centro anti violenza e sa indirizzare, chi ha bisogno di aiuto sviluppa maggiore consapevolezza e fiducia. A quel punto è anche possibile avviare percorsi di lavoro, fare tirocini, accompagnare la donna in passaggi che servono a trovare un lavoro, a essere autonomi”.