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Venerdì, 19 Aprile 2024

VIDEO | Furto cimeli del "Museo della Rivoluzione Fascista", recuperati a casa di un collezionista

Le indagini concluse del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dell'Arma

Li hanno trovati in casa di un collezionista della Capitale. A risolvere il giallo i militari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale che hanno rinvenuto e sequestrato gran parte dell’ingente patrimonio del Fondo “Mostra della Rivoluzione Fascista”, già custodito presso l’Archivio Centrale dello Stato e costituito da gagliardetti militari, labari, e bandiere delle Squadre d'azione fasciste e dei fasci di combattimento che hanno partecipato alla Marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, scomparso dai locali dell’Ente in circostanze ancora in corso di approfondimento.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, sono state avviate dalla Sezione Antiquariato del Reparto Operativo, a seguito della denuncia presentata, lo scorso mese di giugno, dal Direttore pro-tempore dell’Istituto. La scoperta è avvenuta per caso, dovendo ricollocare alcuni esemplari fuori posto per motivi di approfondimento e studio. 

L’inventariazione dell’intera collezione (1065 esemplari), infatti, era stata ultimata nei primi mesi del 2018: un elemento importante per le indagini, che ha permesso agli investigatori di indirizzare immediatamente le ricerche in direzione di un ristretto e specifico settore criminale. 

Si tratta, per l’appunto, di cimeli molto ambiti per particolari collezionisti, disposti a pagare migliaia di euro, anche per un solo
esemplare. Ed in effetti, tutta la refurtiva è finita nella disponibilità di un collezionista della Capitale, compresa un’uniforme di rappresentanza del corpo diplomatico, donata all’Archivio Centrale dello Stato, dagli eredi dell’ambasciatore d’Italia Sergio Fenoaltea (Roma, 9 giugno 1908 – Marino, 13 aprile 1995), già rappresentante del partito d’azione nel Comitato di Liberazione
Nazionale. 

Furto Mostra della Rivoluzione Fascista

L’ignaro amatore era convinto di aver recuperato parte di quei gagliardetti e bandiere che erano andati dispersi nel corso del turbolento biennio 1943-1944, dopo la caduta del regime fascista. 

Le squadre d’azione fasciste, infatti, avevano tradizionalmente come proprio simbolo un gagliardetto di colore nero, con sopra ricamato un motto o il nome, ed uno stemma, solitamente un teschio, simbolo degli squadristi, o un fascio littorio. Il gagliardetto era affidato ad un portabandiera e la sua difesa era considerata prioritaria durante le azioni della squadra. 

I gagliardetti venivano portati nei cortei e, lungo il tragitto, salutati dagli squadristi e dalla popolazione. Tra le bandiere e i gagliardetti rinvenuti, ve ne sono alcuni in tessuto di colore rosso. Si tratta delle bandiere appartenute ai movimenti operai, sottratte nel corso di alcune delle violente incursioni compiute in quegli anni sanguinosi da parte delle Camicie nere, contro le sedi di partito o di camere del lavoro. 

Dalla lettura di alcune pubblicazioni storiche è emerso che la prima esposizione di tali cimeli avvenne, in carattere celebrativo propagandistico, nel 1932, in occasione del decennale della Marcia su Roma, e si tenne, per la durata di due anni, presso il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale a Roma. 

Nell'ottobre del 1934, il copioso materiale, se si considera anche quello non esposto e rimasto nei depositi della mostra, venne trasportato presso la Galleria nazionale d'arte moderna a Valle Giulia, occupandone una intera ala dell'edificio, per esservi custodito in attesa della costruzione, mai avvenuta, del palazzo che avrebbe ospitato il Centro Studi sul Fascismo. 

Dopo l’esposizione in altri due eventi (uno nel 1937 e l’altro nel 1942, in occasione del ventennale della marcia su Roma), con la ricostituzione di un nuovo partito fascista (il Partito fascista repubblicano) e la creazione della Repubblica Sociale Italiana, dopo l’armistizio del settembre 1943, il fondo della Mostra, insieme ad altri archivi fascisti, fu imballato e trasportato a Salò. Le casse del materiale, collocate presso il Museo Lapidario di Salò, non furono mai aperte per l'intero periodo della loro permanenza al nord, dove furono rinvenute più tardi, il 27 maggio 1945. 

Per quanto riguarda il materiale rimasto nei locali di Valle Giulia, esso subì probabili manomissioni e asportazioni durante i drammatici mesi dell'occupazione nazi-fascista. Dispersioni cospicue erano inoltre già avvenute nei giorni successivi
al 25 luglio 1943, giorno della caduta del regime. Inoltre risulta che il 5 giugno 1944, all'indomani della Liberazione di Roma, alcuni esponenti del Partito d'Azione si erano recati nei locali della mostra, per rendersi conto della situazione ed avevano prelevato vari oggetti, tra cui elmi e bandiere. 

Al termine del conflitto, una volta rientrato a Roma il materiale che era stato trasportato a Salò, tutta la documentazione archivistica, ormai riunita, dopo una verifica del carteggio ad opera dell'ufficio indagini del Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, venne trasferita presso l'Archivio del Regno, in funzione di pura conservazione e studio.

Le indagini dei Carabinieri del Reparto Operativo del TPC sono tuttora in corso e puntano a chiarire tutti gli aspetti della vicenda, a partire dalle modalità di sparizione del materiale dai locali dell’Archivio Centrale dello Stato.

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