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Cronaca Appio Latino / Piazza dell'Alberone

Alberone, usure ed estorsioni "col metodo mafioso" e con tassi fino al 240%: 5 arresti

Operazione all'alba della polizia di Stato che, con gli investigatori della Squadra Mobile, ha portato a compimento una complessa indagine colpendo la famiglia Piromalli

Facevano prestiti usurai ed estorsioni, tutte aggravate dal "metodo mafioso". È questa la pesante accusa mossa nei confronti di cinque persone (tra i 44 e i 55 anni) legate alla famiglia Piromalli che facevano affari nella zona di San Giovanni e arrestate oggi a Roma al termine dell'operazione Alberone, che prende il nome dalla piazza nella zona dell'Appio Latino.

Le cinque misure cautelari sono state emesse dal G.I.P. su richiesta della Procura della Repubblica di Roma ed eseguite dagli investigatori della Squadra Mobile della polizia di Stato. I responsabili, a vario titolo, sono accusati di "usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso, esercizio abusivo dell'attività finanziaria nella zona dell'Alberone", spiega la Questura in una nota.

Le indagini dell'operazione Alberone

Le indagini dell'operazione Alberone, sono scaturite da una denuncia raccolta nel novembre del 2018, che ha permesso di fare luce su di un gruppo di persone facente capo alla famiglia calabrese dei Piromalli impegnati, come spiega la Questura, nell'attività "finanziaria abusiva ed estorsiva servendosi di modalità tipiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso". Infatti, nel corso delle attività è emerso come i tre fratelli Piromalli e altri due complici di 55 e 51anni, fossero specializzati nel concedere in prestito somme di denaro a tassi illegali, ricorrendo anche alle estorsioni pur di rientrare in possesso degli interessi imposti.

All'esito delle investigazioni tra la fine del 2018 e la conclusione del 2019 - fatte anche attraverso intercettazioni, analisi dei video e approfondimenti bancari - è stato possibile ricostruire le "competenze di ciascun indagato", secondo un preciso "progetto illecito consistente nella sistematica concessione di prestiti ad interessi usurari" a persone in difficoltà economiche, con l'aggiunta di "eventuali maggiorazioni che venivano comminate in caso di ritardo nei pagamenti", spiegano gli investigatori. 

Il clima di soggezione dei Piromalli all'Alberone

Teatro delle indagini è la zona dell'Alberone nel quartiere San Giovanni - dalla quel prende il nome dell'operazione - territorio in cui la famiglia Piromalli era riuscita ad ingenerare negli abitanti un clima di "terrore" ed uno stato di "soggezione nei loro confronti, humus necessario ad agevolare e far progredire tutte le loro attività illecite", sottolinea la Squadra Mobile. La figura di maggior spicco all'interno della famiglia calabrese dei Piromalli è senz'altro il fratello più grande di 55 anni.

Dalle investigazioni è emerso come il 55enne si recasse spesso in Calabria mantenendo lì, rapporti con membri di organizzazioni criminali anche di stampo mafioso, mentre come procacciatore di soggetti in precarie condizioni economiche e bisognosi di denaro, impartiva le indicazioni ai fratelli. In particolare uno  aveva il compito di recupero delle somme che non venivano restituite alle condizioni inizialmente dettate, mentre l'altro fratello era impegnato nella gestione e il reinvestimento delle somme ricavate dalle attività illecite.

Tassi usurai tra il tra il 60% ed il 240%

Il modus operandi prevedeva la concessione a svariate vittime, quasi tutte piccoli imprenditori della zona, di somme di denaro da restituire ad interessi che oscillavano tra il 60% ed il 240% su base annua; in occasione dei mancati pagamenti o dei ritardi – per i quali venivano prospettati dei "rimproveri" - il denaro veniva riscosso dopo minacce e violente estorsioni, in molte circostanze ricorrendo al contributo di uno dei compiti che veniva utilizzato dalla famiglia come "braccio armato" al loro servizio. 

La Direzione Distrettuale Antimafia e la polizia di Stato, su questo punto, sono chiari: "Le particolari modalità esecutive attraverso la quotidianità delle pressioni esercitate sulle vittime, a cui veniva dimostrato costantemente di essere capaci di istanze punitive, rappresentano pienamente l'aggravante del metodo mafioso previsto dall'art. 416 bis.1 c.p., in quanto si realizzavano sistematiche pressioni ed intimidazioni tipiche della criminalità organizzata anche con condotte funzionali all’affermazione del proprio nome sul territorio e contribuendo così a diffondere la 'fama' criminale dei tre fratelli".

"L'attività di contrasto ai fenomeni usurai, coordinata dall'apposito Pool Anti-usura del gruppo Reati contro il Patrimonio della Procura della Repubblica in sinergia con la Direzione Distrettuale Antimafia, ha permesso così di dare sollievo alle vittime in difficoltà economiche ed in gran parte gestori di attività commerciali di quartiere", concludono. 

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