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Cronaca

Banda sgominata a Roma: trovato il loro tesoro in Bosnia

Da decenni la banda operava a Roma fino al luglio scorso quando è stata sgominata. Ora il ritrovamento nella banca bosniaca, a Tuzla, dei proventi delle loro attività illecite

Scoperto il tesoro di una banda di slavi arrestati a luglio scorso e accusati di traffico internazionale di stupefacenti, falso, riciclaggio di auto di lusso e truffa ai danni dello Stato. Il bottino degli illeciti della banda è stato trovato nelle cassette di sicurezza di una banca in Bosnia Erzegovina dai carabinieri di Roma.

Il tesoro - 653mila euro, 24 mila dollari americani e 8 mila yen giapponesi, centinaia di monete e preziosi in oro per un peso complessivo di circa tre chili - era custodito in tre cassette di sicurezza della banca Nlb della città di Tuzla. Dopo l'arresto degli slavi, i carabinieri del Nucleo Operativo della compagnia Eur hanno continuato le indagini per localizzare anche l'ultimo degli indagati che mancava all'appello - arrestato ieri nel complesso "Le Salzare" ad Ardea - ed individuare il "patrimonio" dall'associazione. Grazie alla documentazione acquisita e alle dichiarazione di due collaboratori di giustizia ascoltati durante l'indagine, i carabinieri sono riusciti, tramite dell' Interpool, a localizzare le 3 cassette di sicurezza, intestate al clan Hrustic. Pertanto la magistratura italiana ha emesso un decreto di sequestro preventivo del contenuto delle cassette di sicurezza, richiedendo una rogatoria internazionale nei confronti dello Stato balcanico che ne ha dato esecuzione.

La banda era ben organizzata e radicata nel territorio da diversi decenni. Dagli anni '70 l'organizzazione obbligava italiani a riconoscere la paternità dei figli dei componenti della banda, o persone a loro vicine, nati dall' unione di cittadini dell'ex Jugoslavia in modo tale da far risultare i bambini italiani e permettere alle madri di richiedere i permessi di soggiorno per i ricongiungimenti familiari. Con lo stesso obiettivo costituivano imprese e società fittizie per dimostrare un'attività lavorativa e un reddito in Italia; alcuni di loro risultavano, falsamente, lavoratori per conto di italiani compiacenti. Con falsi documenti d'identità e certificati, riuscivano ad ingannare gli uffici pubblici di vari comuni italiani ottenendo l'attestazione di essere nati in Italia e quindi il rilascio di carte d'identità valide per l'espatrio, patenti e codici fiscali.
 

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