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Cronaca

Amatrice, viaggio nel paese che non esiste più

Nel borgo reatino dopo il dramma. Le voci dei superstiti, la macchina dei soccorsi attiva h24, i picconi degli alpini che non smettono di cercare vite in mezzo alle macerie

AMATRICE (RIETI) - I volti stanchi di chi ha scavato e scava ancora, i volontari a lavoro nelle tendopoli che prendono forma sui terreni dei cantieri, le file per un pasto caldo, quelle all'obitorio per il riconoscimento delle salme. Il terrore di un'altra scossa. E quel via vai incessante di soccorsi, forze dell'ordine, squadre di aiuti che si muovono a passo svelto tra i campi base in costruzione e la zona rossa al centro del paese. Chi piange, chi prova a sorridere, chi freme per capire quando, come, se potrà mai rientrare nelle abitazioni (poche) rimaste in piedi. E' Amatrice, il giorno dopo.  

La vita del “paese che non esiste più” si è spostata fuori dal borgo antico dove le scosse hanno distrutto tutto. Il centro, raso al suolo, con l'Hotel Roma e i suoi dispersi sorto a simbolo della tragedia, è invalicabile. I nastri delle forze dell'ordine chiudono il passaggio a civili, giornalisti, non autorizzati. All'orizzonte il campanile con le lancette ferme all'ora del disastro, 3 e 36, fanno da sfondo alle dirette h24 per le tv di tutto il pianeta. “Non mi fanno andare, devo prendere delle medicine, dicono che vanno loro per me oppure che devo aspettare almeno tre giorni”. “Ci sono dei soldi dentro il cassetto di un mobile, dobbiamo provare a recuperarli”. “Vorrei almeno prendere qualche vestito per cambiarmi”. Le voci si accavallano davanti al cordone di poliziotti e carabinieri addetti al servizio d'ordine. Ma da Corso Umberto I non si passa, non esistono deroghe alla sicurezza dei civili. Anche chi ha la casa “solo” lesionata, è costretto ad aspettare fino alle valutazioni di agibilità dei vigili del fuoco. 

Si attende, impotenti, ovunque: intorno al Palazzetto dello Sport di via Piacente, in fila al punto di distribuzione pasti o all'interno per chi ha bisogno di coperte, asciugamani, maglioni per il freddo della notte, pannolini e omogeneizzati per i bimbi, dentifrici, spazzolini da denti, fazzoletti di carta, saponi, medicinali. E' tutto ben posizionato sugli spalti, indicato da appositi cartelli. Chi è sopravvissuto non ha che da chiedere. “E' impressionante la quantità di cibo che è stata spedita con le donazioni, sia da ditte che da privati cittadini”. Giuseppe, membro del Cisom dei Cavalieri di Malta è arrivato ieri da Firenze. Come lui centinaia di volontari non si fermano un attimo. Provengono da tutta Italia, in un mosaico di dialetti e accenti che si incrociano nello spazio di appena tre strade. 

IL VIDEO DEI SOCCORSI

Mentre i team di soccorritori picconano ancora.“Scaveremo finché non avremo la certezza che tutte le persone, vive o morte, sono state trovate”. Dai membri del soccorso alpino e speleologico (Cnsas) della Protezione Civile ci spiegano l'organizzazione della loro macchina. Cento uomini divisi in squadre da sei con all'interno tecnici, unità cinofile e sanitari. Si alternano nelle ricerche affiancati dai gruppi specializzati di tutti i corpi di soccorso dello Stato. Polizia, carabinieri, finanzieri, brigadieri, esercito. Migliaia di uomini su Amatrice, solo 450 dalla regione Lazio. Nei titoli dei giornali sono già “gli angeli delle macerie”. Una catena umana di aiuti e solidarietà pronta ad affrontare a testa alta il vuoto lasciato dal sisma. E anche a raccogliere gli sfoghi disperati di chi ha perso tutto. 

“Mia madre, mio padre, il mio nipotino di 13 anni, i miei cugini. Sono morti tutti. Ho ancora mio figlio, ferito, tutto rovinato sulla schiena, ma vivo. La mia casa è distrutta , non ho più un lavoro. Cosa posso fare adesso?”. Rita, 60 anni, non si dà pace. Con lei un'altra donna, seduta su una panchina dello stesso prato, lo sguardo fisso nel vuoto, una sigaretta accesa e nessuna forza di pronunciare parole. L'ultima scossa del primo pomeriggio, forte da far crollare ancora pezzi di edifici già pericolanti, ha riportato la paura. Un paio di secondi fatti di polvere, urla, fughe lontano da qualunque cosa possa crollare. 

Foto da Amatrice - RomaToday

Si attende, ovunque, sfiniti e inermi. Chi l'assegnazione di una tenda per la notte, chi il suo turno per l'identificazione dei parenti davanti alla tendopoli tra la casa di riposo Don Minozzi e il palazzetto, dove sono stati trasferiti i cadaveri. Qui la fila scorre lenta, si forniscono i nominativi, si aspetta di poter entrare. “Ci vuole un po' di tempo – spiegano gli addetti ai familiari incolonnati all'ingresso – capita che alcuni volti non siano ben riconoscibili”Si attende ovunque di capire qualcosa del prossimo futuro, tentando in tutti modi di ritagliarsi il tempo di un sorriso che esorcizzi il dolore anche solo un istante. Qualcuno prende esempio dai più piccoli, dai bambini che si sono salvati, il giorno dopo impegnatissimi nel parco su scivoli e altalene. A loro il gioco riporta quasi la normalità. 

LA PAURA E LA SPERANZA DEI SOPRAVVISSUTI

I NOMI DELLE VITTIME

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