Stefano Cucchi, condanne anche in appello: 13 anni a due carabinieri per il pestaggio
Pena inasprita per Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. La sorella Ilaria: "Primo pensiero è per Stefano e per i miei genitori"
A quasi 12 anni dalla morte di Stefano Cucchi, arriva la sentenza del processo bis: condannati a 13 anni di carcere per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, che dovevano rispondere del pestaggio, mentre il carabiniere Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione, è stato condannato a quattro anni per falso.
Confermata la condanna a due anni e mezzo, sempre per falso, per Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni aveva fatto luce sul pestaggio avvenuto nella caserma Casilina la notte dell'arresto: per lui il pg Roberto Cavallone aveva chiesto l’assoluzione.
Morte di Stefano Cucchi, le condanne in primo grado
Il verdetto della Corte d'Assise d'Appello di Roma è arrivato venerdì pomeriggio, dopo cinque ore di camera di consiglio. Pena aumentata, dunque, per i due carabinieri ritenuti autori del pestaggio di Stefano Cucchi, così come richiesto dal pg, che aveva escluso le attenuanti generiche.
In primo grado, il 14 novembre 2019, la prima Corte d'Assise di Roma aveva condannato a dodici anni di carcere Di Bernardo e D'Alessandro, riconoscendo l’omicidio preterintenzionale come sostenuto dal pm Giovanni Musarò. Era stato assolto invece da questa accusa Francesco Tedesco “per non avere commesso il fatto”, mentre era arrivata la condanna per falso. Per la stessa accusa era stato condannato a tre anni e otto mesi il maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti comandante della stazione Appia.
Ilaria Cucchi: "Primo pensiero è per Stefano"
Alla lettura della sentenza era ovviamente presente Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e volto di una battaglia durata oltre un decennio che l’ha trasformata in un simbolo: “Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula - ha detto Cucchi - è il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”. Le ha fatto eco l’avvocato Fabio Anselmo, che ha seguito il caso sin dall’inizio: “Il nostro pensiero va ai procuratori Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Giovanni Musarò, dopo tante umiliazioni è per merito loro che siamo qui. La giustizia funziona con magistrati seri, capaci e onesti. Non servono riforme”.
Stefano Cucchi, geometra 31enne, fu arrestato il 15 ottobre del 2009: morì sette giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Le immagini del suo corpo magrissimo e ricoperto di lividi sono state più volte mostrate dalla sorella Ilaria per dimostrare come Cucchi venne sottoposto a un brutale pestaggio nella caserma Casilina, un resoconto su cui hanno concordato anche i giudici di primo grado, che all’epoca della condanna parlarono di una “azione violenta“ da parte dei due carabinieri che fecero “uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio, violando il dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”.
La difesa ha sempre puntato su un’altra linea, quella della responsabilità dei medici, chiedendo l’assoluzione: “Nessuno nega che ci sia stato un pestaggio, ma non è stato così violento - aveva ribadito l’avvocato Antonella De Benedictis, che ha difeso Di Bernardo - Stefano Cucchi non è stato ucciso per i ceffoni o pugni, nessuno lo ha ucciso di botte. Le persone che lo hanno lasciato morire sono stati i medici attraverso negligenze ed omissioni, chi ha sbagliato ha pagato penalmente e civilmente con un risarcimento”.