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Cronaca

Fotosegnalato e moralmente danneggiato: rom fa causa allo Stato e la vince

Il censimento a suo carico effettuato poco prima dello sgombero del Casilino '900 è stato giudicato discriminatorio perché applicato su base etnica. I suoi dati verranno distrutti e lui verrà risarcito di 8 mila euro

Elviz Salkanovic verrà risarcito di 8 mila euro per danni morali e tutti i dati raccolti sul suo conto con la pratica del fotosegnalamento andranno distrutti. Tre anni fa il giovane rom attualmente residente nel campo di via di Salone ha fatto causa a Ministero dell'Interno, Prefettura e Questura di Roma e oggi porta a casa una sorprendente vittoria. Ha 23 anni e quando le forze dell'ordine si sono introdotte nel Casilino '900 per procedere a sgombero e censimento lui c'era. Era lì con la famiglia, e ricorda perfettamente i dettagli.

IL RACCONTO - "Qualche giorno prima dello sgombero sono venuti i vigili e ci hanno caricati a gruppi di 50 su autobus dell'Atac diretti in Questura, allo Sportello Nomadi. 'Devi venire con noi altrimenti non puoi avere il posto che ti spetta al campo' ci dicevano". Lui, la sua famiglia e tutti i rom del maxi campo sulla Togliatti. Solo i rom. "Ti chiedevano da dove venivi e se dicevi che eri spagnolo, slavo o qualunque altro paese restavi lì".

Elviz però era già in possesso di un documento che ne accertava, tra l'altro, la cittadinanza italiana. "Non mi hanno trattato bene, nel senso che mi facevano battute tipo 'chissà quanti reati hai già commesso' e invece non avevo fatto niente e infatti è venuto fuori quando mi hanno preso le impronte". Poi le foto con la famiglia e, finito il turno di tutti i rom da schedare, il rientro a casa.

CAUSA ALLO STATO - Nel gennaio 2010, sostenuto da Associazione 21 Luglio, Asgi e e Open Society Justice Initiative, Elviz Salkanovic ha avviato un'azione legale contro le istituzioni per violazione della dignità personale. Il Tribunale Civile di Roma gli ha dato ragione dando luogo al primo caso giurisprudenziale in cui il censimento su base etnica viene giudicato discriminatorio.

Un giudizio storico per chi ha sostenuto la causa, specie se sommato a quello già espresso qualche settimana fa dalla Corte di Cassazione che ha dichiarato illegittimo l'intero impianto messo in atto per l'"emergenza nomadi". Schedatura dei rom compresa. Da precisare che il punto contestato non è il censimento in sè, inteso quale tentativo di quantificare i rom dei campi in vista dell'applicazione di determinate politiche di progettazione, ma piuttosto il fatto che esso venga applicato ai cittadini di una sola etnia.

A quanto denunciato infatti, e a quanto riconosciuto dallo stesso Tribunale, c'è chi pur risiedendo dentro al campo non è stato portato in Questura. E c'è chi invece, come Elviz, seppur in possesso di un documento d'identità valido è stato comunque schedato. Il censimento però, secondo quanto spiegato da Costanza Hermanin di Open Society Justice Initiative, dovrebbe avvenire, almeno in linea teorica, sulla base di tre cardini stabiliti dalla direttiva europea sulla privacy: consenso, autodichiarazione e anonimato.

LA DIFESA - Le istituzioni dalla loro hanno invece sostenuto l'insussistenza dell'accusa difendosi con due argomentazioni chiave: che le attività di censimento delle persone presenti nel campo erano state svolte con il consenso dei diretti interessati e che lo scopo primario del provvedimento altro non era che far fronte e superare la situazione di presunto pericolo. Ma non solo, Prefettura e Ministero hanno ricacciato l'accusa di aver operato su base etnica dichiarando di aver fatto riferimento a tutta la popolazione presente sul campo.

Diverso evidentemente il parere dei giudici che hanno ordinato la distruzione di foto, impronte e quant'altro. Ovviamente solo per quanto riguarda il singolo caso di Elviz. Le altre centinaia di schedature restano dove sono. Particolare della sentenza che delinea chiaramente il prossimo obiettivo delle associazioni: "Arrivare alla distruzione dell'intera banca dati".

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