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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio Carlo Macro: "Il killer voleva uccidere". Ma la Corte rigetta i futili motivi

Per Joseph White Clifford la pena è fissata in primo grado a 14 anni di reclusione. Il tribunale ha diffuso le motivazioni della sentenza

Troppo secchi, precisi, potenti quei due colpi mortali arrivati così in profondità da lacerare la vena aorta, per parlare di gesto accidentale. La legittima difesa non regge, perché non c'è traccia di colluttazione, e la Corte esclude che la vittima si sia scagliata contro il killer così, disarmata, in preda a una sorta di istinto suicida. Gli estremi per l'omicidio volontario non sono in dubbio. Il giudice però rigetta i futili motivi, mancano le prove. 

Joseph White Clifford la notte del 17 febbraio 2014 ha ucciso "intenzionalmente" il 30enne romano Carlo Macro. E il Tribunale, dopo la condanna a giugno in primo grado a 14 anni di reclusione, diffonde le motivazioni della sentenza. Il 60enne indiano è sceso dalla sua casa-roulotte, donata dalla comunità di Sant'Egidio e parcheggiata in via Garibaldi, e in pochi istanti ha spezzato la vita del giovane, perforandogli il torace con un cacciavite di 30 centimetri. 

"Questa corte non ha avuto alcun dubbio nel giudicare fondata la prospettazione accusatoria" si legge nel documento, vista le "accertate caratteristiche della ferita letale", "la localizzazione" sul corpo della vittima, e lo stesso linguaggio usato dall'imputato nel descrivere quanto avvenuto in un sms inviato quella notte a un volontario di Sant'Egidio, "ho bucato uno con la giravite". Quello che il Tribunale non ammette è la gratuità del gesto, aggravante richiesta dall'accusa.

La dinamica dei fatti, emersa da testimonianze e ricostruzioni giornalistiche, non sembrava lasciare grossi dubbi sulla miccia che accese l'ira di Clifford: la musica alta proveniente dall'impianto stereo della Panda dei Macro. I due fratelli avevano deciso di fermarsi lì, di strada versa casa, per espletare bisogni fisiologici. La portiera è rimasta aperta, Carlo è sceso a urinare. E' in quel frangente che è scattato l'alterco. La ragione era quella musica assordante che ha svegliato il killer in piena notte. Ma tra i due elementi mancherebbe il nesso causale, o almeno le prove a suo sostegno. 

"NON HA UCCISO PER LA MUSICA ALTA" - "Se può darsi per pacifico che quel rumore potesse aver svegliato anche White - si legge nelle motivazioni - ciò ha rappresentato solo la ragione per la quale egli avrebbe deciso di uscire dalla roulotte ma non necessariamente -e comunque non ve nè prova- il motivo che lo avrebbe spinto a un certo momento ad aggredire il giovane incontrato vicino al suo precario alloggio". 

Anche perché "musica a volume in quel luogo se ne sentiva spesso, per la presenza nei pressi di un bar luogo d'incontri di giovani e aprto fino a tarda notte". Piuttosto, ipotizza la Corte, "posto che Carlo Macro stava urinando proprio vicino alla roulotte di White, potrebbe ritenersi che possa essere stata questa la prevalente ragione di irritazione" dell'imputato. Fermo restando che si tratta di ipotesi "perché resta incerta la reale progressione dell'episodio".   

IL LEGALE - Se l'aggravante dei futili motivi fosse stata accolta la pena sarebbe stata maggiore di un terzo, e gli anni nel caso specifico sarebbe saliti a 21. Ma il legale della famiglia Macro ricorrerà in appello.  

"Ritengo assolutamente non condivisibile tale assunto - ha commentato - uccidere un ragazzo indifeso e disarmato, a causa del volume della musica dell'auto o per aver fatto la pipì in disparte, di notte in una via pubblica ma poco frequentata,rappresentano entrambi degli evidenti futili motivi che non possono giustificare un gesto così gratuito, violento ed irreparabile". 

LE ROULOTTE DI SANT'EGIDIO - Commenti al verdetto della corte arrivano anche dal mondo politico. "Siamo esterrefatti perchè le motivazioni della sentenza non soddisfano nessuno e rappresentano l’ennesima occasione persa per rendere giustizia di fronte a un fenomeno di degrado umano e sociale sfociato in tragedia". Così i consiglieri regionale, Fabrizio Santori, e municipale, Marco Giudici, accaniti nell'accusare la comunitò di Sant'Egidio, ente gestore della rete di roulotte per indigenti sparse in città, di responsabilità seppur indirette nella morte di Macro. 

Sulla posizione della comunità, a seguito di un esposto presentato dai consiglieri, è stata aperta un'inchiesta per abuso edilizio. E nel giorno delle motivazioni della sentenza di condanna al killer, si fa più forte l'appello al Procuratore per scongiurare un'archiviazione del fascicolo che sembra imminente. Un anno di investigazioni e sequestri a tappeto, con ombre, lacune e spunti investigativi, che rischia di cadere nel vuoto, perché per il pm il reato non sussiste. I denuncianti si sono opposti al gip, e lo scontro giuridico è tutt'ora in corso. 

Un appello che si somma a quello disperato di Giuliana Bramonti, madre della vittima, firmataria di una lettera inviata al procuratore Pignatone. "Oggi - si legge - che si è chiuso il primo grado del processo contro l’assassino di Carlo, rivolgo un appello a tutti voi per quanto di vostra competenza, affinché vi interessiate all’inchiesta svolta nei mesi scorsi dalla Procura, riguardante il fenomeno delle roulotte e dei camper adibiti a dimora dei clochard". Un'indagine che "ha fatto emergere un fenomeno inquietante di degrado, di illegalità e di ingiustizie. Un fenomeno che ha incrociato tragicamente il destino di mio figlio". 

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