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Cronaca

Roma è Cosa Nostra, gli affari dell'uomo di fiducia di Riina jr tra Testaccio e Trastevere

Oggi il blitz del Ros dei carabinieri a Roma. Sequestrato un ristorante nei pressi di lungotevere Ripa

Le attività di Trastevere e Testaccio usate come lavatrice dei soldi di Cosa Nostra a Roma. Un sistematico giro di soldi che ha portato ad apporre i sigilli ad un noto ristorante che proponeva specialità siciliane a due passi dal lungotevere Ripa.

Nella giornata di oggi i carabinieri del Ros hanno posto a sequestro penale preventivo un locale dal valore di 400mila euro, dando anche esecuzione ad un'ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal Tribunale di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 11 persone ritenute responsabili di "trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio, reati commessi per agevolare l'associazione mafiosa Cosa Nostra".

Secondo quanto ha appreso RomaToday da fonti dell'Arma, nell'inchiesta coordinata dalla Procura di Roma, a finire in manette Salvatore Rubino (già in carcere), il fratello Benedetto (arrestato a Portuense) e Francesco Paolo Maniscalco (anche lui già in carcere), uomo di fiducia di Giuseppe Salvatore Riina, figlio del defunto Totò. Misure cautelari che hanno colpito anche altre 8 persone, 4 ai domiciliari e altrettante con l'obbligo di di presentazione alla Polizia Giudiziaria.

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Chi è il boss Maniscalco e gli affari a Roma

Nel 2016 il boss palermitano Francesco Paolo Maniscalco aveva già subito un sequestro di beni da 15 milioni di euro fra la Sicilia e Roma, ma i suoi affari, da come emerso dalle indagini, non si sarebbero fermati grazie a una rete di complici e "amici". 

Maniscalco, già in carcere perché arrestato nei mesi scorsi dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo nell'ambito di un'indagine sulle scommesse on line, è volto noto in Sicilia. C'era anche lui fra i sette uomini che la notte del 13 agosto 1991 portarono a termine un colpo da 10 milioni di euro a Palermo, al Monte dei Pegni. Un colpo ordinato da Cosa Nostra e ancora avvolto nel mistero. 

Quindi il trasferimento a Roma. Maniscalco, da 20 anni, "bazzicava" la zona di Roma nord, ma non solo. Insieme ai fratelli Rubino, attraverso società attive nel settore della gastronomia e grazie a prestanome, hanno condotto un progetto imprenditoriale a Testaccio e Trastevere, avviato nel 2011 con l'apertura del bar pasticceria 'Sicilia e Duci srl' (trasferito da Testaccio a Trastevere nel 2015) e ostacolato nel 2016 con l'esecuzione di un sequestro di prevenzione a carico della predetta società.

Tuttavia, poco prima dell'esecuzione del citato provvedimento, gli odierni indagati avevano provveduto allo svuotamento del patrimonio della 'Sicilia e Duci srl', attraverso la distrazione di beni e capitali a beneficio di altre società, appositamente costituite a partire proprio dal 2016, conducendo, al contempo la 'Sicilia e Duci' alla bancarotta. 

In sostanza, dopo il sequestro del 2016, Maniscalco aveva cambiato società e prestanome, spostando gli interessi a Trastevere - su un altro locale - ma gli investigatori della sezione Anticrimine di Roma non hanno mai smesso di monitorarlo.

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Il "nuovo" ristorante a Trastevere

Ecco così che, con una nuova società, è stato aperto un nuovo ristorante a Trastevere dal valore di 400 mila euro. Il nuovo ristorante era ad immagine e somiglianza al precendente, tanto che sgabelli e lampadari sono stati "riciclati" come a denotare una sorta di continuità di gestione.

Un locale "avviato col reimpiego di capitali di provenienza illecita", spiegano gli inquirenti che oggi hanno sequestrato anche una cassetta contenente 29mila euro in contanti e una serie di quadri. 

Nell'inchiesta, infatti, è emerso come moglie e figlia di uno dei fratelli Rubino vendevano quadri e gioielli "di provenienza illecita il cui ricavato è stato reimpiegato per avviare le attività commerciali a Trastevere". Gli approfondimenti investigativi, hanno permesso accertare che i dipinti oggetto di compravendita illecita erano stati rubati negli anni '90 e rivenduti anche attraverso alcune gallerie d'arte di Roma estranei ai fatti.

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