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Cronaca

Omicidio Cerciello, in un audio l'accordo tra il Maresciallo e Varriale sull'ordine di servizio da compilare

Varriale in aula: "Eravamo in servizio, con la pistola sarebbe stato impossibile mimetizzarsi". La Corte d'assise dovrà giudicare gli americani Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, accusati dell'omicidio

Un messaggio su whatsapp per giustificare l'ordine di servizio di quella sera, la pistola lasciata in caserma e la percezione di non pericolo avvertita prima dalla tragedia. Sono questi i punti che, nei primi due giorni del processo per l'omicidio di Mario Cerciello Rega, si sono toccati in aula.

A raccontare i fatti è stato Andrea Varriale, collega del vicebrigadiere ucciso da 11 coltellate inflitte da Finnegan Elder Lee, imputato con l'amico Gabriel Natale Hjorth.

L'ordine di servizio e l'audio dei carabinieri 

Ieri, in aula a tenere banco è stato soprattutto il contenuto di un messaggio su whatsapp. "Andrea di questa cosa dell'ordine di servizio non ne parlare con nessuno, Ottaviani (all'epoca dei fatti capo della stazione dei carabinieri di Farnese, ndr.) già sa tutto, vieni da me e lo compiliamo". E' il messaggio che il 28 luglio scorso il maresciallo Gaetano Armao mandò al carabiniere Varriale prima che il militare venisse chiamato dai superiori a riferire su quanto avvenuto la notte del 26 luglio, quando il suo collega Cerciello Rega, fu ucciso.

"Bisogna sistemare la questione dell’ordine di servizio - è vuoto, lo devi compilare almeno con l'intervento" aggiunge Arnao in merito all'identificazione di Sergio Brugiatelli, il presunto mediatore dei pusher di Trastevere. 

Incalzato dalle domande dei difensori di Finnegan Lee Elder, Varriale si è difeso dicendo di aver scritto le generalità di Brugiatelli su un pezzo di carta: "A piazza Mastai avevo preso un appunto su un foglio di carta con le generalità di Brugiatelli per poi riportarlo con calma in caserma". L'audio è uscito durante l'ultima udienza del processo.

Il maresciallo Gaetano Armao, attraverso una nota degli avvocati Mariano e Benedetto Marzocchi Buratti sottolinea che "non ha partecipato ad alcun accordo nella vicenda del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. La sua condotta è stata sempre rispettosa della legge. Tuteleremo l'immagine del nostro assistito, che e' a disposizione dell'autorità giudiziaria, nella competente sede". 

"Ci sembrava una cosa da poco"

"Quella notte non ci siamo preoccupati. Ci sembrava una cosa da nulla, da ladro di polli", ha spiegato quindi in aula in Tribunale Varriale. "A Trastevere sono molte le fregature che vengono fatte a chi cerca droga - ha aggiunto -. Quella ci sembrò una 'sola' e la pasticca trovata a piazza Mastai era palesemente tachipirina. Non mi sembrava una estorsione fatta da veri criminali, ci sembrava una cosa da ladri di polli".

Il suocero di Cerciello sviene in aula

Perché la pistola è stata lasciata in caserma 

Motivo che potrebbe aver fatto portato i militari a decidere di lasciare la pistola in caserma. "Dovevamo avere la pistola ma per praticità e per poterci mimetizzare fra la gente l'arma è più un problema".

Rispondendo alle domande del pm Maria Sabina Calabretta, Varriale ha spiegato il motivo per cui i due militari non avevano l'arma d'ordinanza: "La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de Fiori e piazza Trilussa, il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché il controllo contro lo spaccio non si può fare in auto".

"Dopo esserci qualificati ho riposto in tasca il tesserino. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Loro non avevano nulla in mano. Noi andavamo a identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti - ha ricostruito Varriale davanti ai giudici della Prima corte d'Assise -. Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava ‘fermati carabinieri’, aveva una tono di voce provato".

"Cerciello era un maestro"

"Mario Cerciello Rega era sempre in prima linea. Per noi era un maestro. Aveva occhio per la strada. Alcune delle nostre indagini sono partite proprio da sue intuizioni, era il più esperto di tutti", ha detto ancora. 

"Cerciello non era assolutamente un violento e io ho imparato tantissimo da lui. Il nostro approccio in questi interventi è stato sempre pacifico. Mario mi diceva sempre 'la tranquillità va anche comprata, vuoi mangiare, vuoi un pacchetto di sigarette?', era un modo per 'accattivarsi' l'arrestato - ha continuato Varriale - Mario era amato e stimato nel nostro ambiente e anche dalla popolazione. Nei giorni della morte di Mario, migliaia di persone, al funerale. Noi non facciamo sconti, ma la gente apprezza l’onestà".

Il video e Natale Hjort bendato 

Quindi si è toccata anche la questione del video a Natale Hjort bendato. "Mentre uscivo ed entravo dagli uffici di via In Selci, ho visto Natale seduto su una sedia, ammanettato con le mani dietro la schiena e bendato. Quando l'ho visto a me ha sorpreso, non avevo mai visto un arrestato trattenuto in questo modo. Mi è parsa una cosa molto strana", ha detto ancora Varriale, aggiungendo: "Intorno a me c'erano tanti superiori. Era una situazione aperta. Io ero l'ultima ruota del carro".

"Ho iniziato a registrare il video di Natale Hjort bendato perché volevo associare la voce al volto e così gli ho fatto qualche domanda: 'dov'era la felpa rossa o cose così'. Non ho avuto alcuna risposta ma mi ha detto cose senza senso, 'che cambia, a che serve'" ha spiegato Varriale in aula. 

"Ho spento il video e sono corso a farlo presente ai miei superiori. Abbiamo sentito le registrazioni acquisiste da whatsapp e poi il video. Non l'ho diffuso a nessuno. E' rimasto sul mio cellulare" ha proseguito il carabiniere. 

"Non sapevo assolutamente del fatto che era uscita sui media la fotografia dell'arrestato bendato - ha spiegato Varriale - Le indagini dell'Arma su questo sono iniziate subito. Il 28 luglio fui chiamato dal comandante di Compagnia di allora il Maggiore Aniello Schettino. Incontrai il colonnello Petti, allora comandante del gruppo Roma, in un colloquio informale con lui, dissi che non avevo fatto io la fotografia. Commisi un errore stupido, quello di dire che avevo la pistola con me e che l'avevo consegnata al mio comandante di stazione in ospedale. Ma tanto ormai, a tanti colleghi già avevo detto che non l'avevo. Ho commesso una leggerezza".

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