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Cronaca

L'emergenza nomadi è finita: il piano di Alemanno cinque anni dopo

La Corte di Cassazione, rigettato un ricorso del Governo Italiano, ha decretato l'illegittimità dello stato d'emergenza nomadi. Cessa quindi l'esigenza del Piano, tanto contestato. Ecco dove si è fermato cinque anni dopo i proclami di Alemanno

Una “rivoluzione copernicana” per il sindaco Alemanno che ne fece un punto fermo del programma di governo, un “fiasco” su tutta la linea per chi si è opposto fin dal primo sgombero. Il Piano Nomadi del Comune di Roma è arrivato al capolinea. La Corte di Cassazione, rigettato un ricorso del Governo Italiano, ha decretato l'illegittimità dello stato d'emergenza, quello proclamato nel 2008 dall'allora premier Silvio Berlusconi. Emergenza che il piano del sindaco uscente prometteva di risolvere, almeno per la Capitale. Lo ha fatto? 

IL PIANO – Legalizzare e migliorare le condizioni delle etnie rom eliminando i focolai di abusivismo e costruendo 13 campi autorizzati in periferia per non più di 6 mila nomadi, tutti provvisti di documento. Era questo l'obiettivo del piano, annunciato nel luglio del 2009 dal prefetto Pecoraro, dal sindaco Alemanno e dal vice Sveva Belviso. 

Nel dettaglio si trattava di chiudere i grandi campi “tollerati” e la miriade di insediamenti abusivi sparsi sul territorio, di ristrutturare alcuni campi “autorizzati” e di costruirne due ex novo. A tre anni e mezzo di distanza dalla presentazione in pompa magna di un piano definito dai fautori “rivoluzionario” i risultati ottenuti, per molti, sarebbero nettamente inferiori alle promesse. 

GLI SGOMBERI – Quattro su nove i villaggi “tollerati” chiusi in via definitiva. Il Casilino 900 nel novembre 2009 , La Martora nel dicembre 2010, Il Baiardo lo scorso luglio, Tor de'Cenci lo scorso settembre. Sono rimasti aperti Foro Italico, Monachina, Arco di Travertino, Spellanzon, Sette Chiese. Solo uno dei cinque campi “autorizzati” è stato ristrutturato. La Barbuta, maxi campo destinato a 650 nomadi, situato tra il Gra, la ferrovia Roma-Cassino e l'aeroporto di Ciampino, è rinato a luglio 2011 travolto da valanghe di polemiche. Nessun intervento di ampliamento invece su via di Salone, Camping river, via Candoni, Castel Romano, via Gordiani, Camping Nomentano e via Lombroso. Anzi, alcuni di questi hanno ospitato i “figli” degli sgomberi andando ad aumentare il numero di residenti senza ampliamento degli spazi. 

In parallelo centinaia e centinaia di sgomberi di piccoli e medi insediamenti sparsi sul territorio. Secondo le stime dell'Associazione 21 luglio- da sempre impegnata a monitorare lo svolgimento del piano senza risparmiare attacchi all'amministrazione - sarebbero 450 i campi informali sgomberati dal Comune di Roma dal 31 luglio 2009 ad oggi. Campi e campetti che comunque continuano a proliferare. Il piano insomma, rispetto alle previsioni, è stato attuato solo in parte. E in questa parte è stato ostacolato da corsi e ricorsi giudiziari e denunce su più fronti.

Sgombero Casilino 900 - Foto di TMNews/Infophoto

CRITICHE E REPLICHE – Segregazione più che integrazione e provvedimenti contrari al diritto internazionale. Queste le critiche mosse a un Piano che di fatto ha scatenato l'inferno. Amnesty International, con un report specifico, ha chiesto alle autorità italiane di "riesaminare” quello che ha definito “un controverso piano abitativo” che, per le modalità “forzate” di attuazione, avrebbe violato i diritti fondamentali dei rom. Secca in più occasioni la replica del sindaco. "Noi consideriamo il nostro piano un atto di legalità, di sicurezza dei cittadini e di grande umanità nei confronti dei nomadi. Quel rapporto non è corretto e dà una visione parziale del fenomeno". 

Dalla parte del Comune anche il portavoce del Casilino 900, Najo Adzovic. "Non c'e' stato alcuno sgombero forzato. tutte le fasi sono state concordate con la popolazione dei campi". E proprio lo sgombero del più grande campo abusivo d'Europa attivo (e illegale) da 40 anni è considerato il fiore all'occhiello del piano. Per quanto anche lì non siano mancate le polemiche: per qualcuno con la chiusura e il trasferimento le condizioni di vita delle famiglie non sarebbero affatto migliorate. Attacchi che non hanno risparmiato neanche La Barbuta, considerato in parte un altro successo da ascrivere all'azione della giunta Alemanno, che con telecamere di sorveglianza e recinti somiglierebbe a un ghetto, nè Tor de'Cenci, che ancora attende, a sgombero concluso, assegnazione e destinazione. 

STATUS QUO – Tralasciando i grandi campi, chiusi o ristrutturati, in quelli rimasti non mancano criticità. Vediamo qualche esempio. A Roma est particolarmente delicata è la situazione del campo rom di via Salviati, dove in realtà le strutture sono due.  Il primo, storico, presenta condizioni tutto sommato dignitose. Il secondo, sviluppatosi successivamente a ridosso del primo e alla bell’e meglio, è stato definito dall'assessore all'ambiente nel Municipio VII, Alessandro Moriconi, un “girone infernale”. Qui i nomadi, più di duecento, vivono ammassati in tuguri fatiscenti e la situazione sanitaria è traballante. I residenti poi lamentano una situazione di totale anarchia tra i due villaggi, rifiuti in strada e aggressioni subite alla luce del sole.  

Simile la situazione del campo di Via Gordiani 325 nell’ex municipio VI. Continue liti tra gruppi etnici diversi, controlli insufficienti all'ingresso del campo, sovraffollamento e scarse condizioni igieniche, le criticità lamentate dai residenti. Una situazione di disagio peggiorata notevolmente dopo lo sgombero del Casilino 900.

Sul litorale resta il campo rom di via Ortolani ad Acilia. Il villaggio, dove vivono da oltre venti anni alcune famiglie pienamente integrate nel contesto locale, era tra quelli da ristrutturare. Un intervento che avrebbe permesso alla piccola comunità di circa quaranta persone di poter vivere in sicurezza e continuare a frequentare la scuola nell’ambito di un pieno inserimento sociale e scolastico. L'intervento non è avvenuto e ad oggi lo spettro sgombero aleggia perchè il campo, non essendo stato “regolarizzato”, si trova su un terreno di proprietà dell’azienda Atac che dista giusto un centinaio di metri da lì.

Nodi critici anche in VIII Municipio (ex XI), per quanto non presenti al suo interno veri e propri campi nomadi. Emblematico il caso del  vicolo Salvi, un micro insediamento con casette ristrutturate dagli stessi rom. Il piccolo campo in sé non crea particolari problemi, se non fosse per il mercato abusivo adiacente, focolaio di degrado e microcriminalità che il Municipio, invano, ha chiesto di chiudere. 

Poi ci sono i villaggi fantasma sulle sponde dell'Aniene, nel municipio Roma Montesacro, e gli occupanti di ruderi in disuso, come la casa cantoniera occupata nel marzo scorso tra la ferrovia dell’alta velocità e il fiume. Sempre nel III c'è l'area del Ponte delle Valli, area spesso e volentieri adibita a baraccopli: materassi, ombrelloni da mare e una schiera di tende da campeggio poggiate sul terreno umido, coperte e sacchi di plastica per ripararsi dalle piogge.

Insomma, doveva migliorare le condizioni di vita dei rom, i livelli di sicurezza dei romani, e il decoro urbano. E c'è chi sostiene che abbia solo peggiorato il quadro. L'amministrazione ha difeso a spada tratta il suo operato, accusando piuttosto le continue vicende giudiziarie che ne avrebbero bloccato uno svolgimento continuo e regolare. Il tutto rivendicando la massima umanità di trattamento dei rom sgomberati. Non sarà più emergenziale, ma la questione resta aperta. E pronta a passare nelle mani della nuova giunta.

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