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Cronaca

Parkinson: 16mila casi nel Lazio. E si fa strada la terapia di tipo genico

Il nuovo trattamento implementato dai ricercatori anglo-francesi potrebbe risolvere alla radice la malattia, riattivando il blocco della dopamina. L'intervista ad Alfredo Berardelli, presidente Limpe

Alcune delle terapie messe a punto negli anni per la malattia di Parkinson hanno avuto il merito di offrire ai pazienti una migliore qualità di vita. Ma nessuna, almeno per ora, ha dato dei risultati veramente risolutivi. Proprio in questi giorni si sta parlando di una terapia di tipo genico, del tutto nuova, implementata da ricercatori anglo-francesi. Il nuovo trattamento potrebbe finalmente risolvere alla radice la malattia, andando a riattivare il blocco della dopamina. L'intervista ad Alfredo Berardelli, presidente Limpe (Lega Italiana per la lotta contro la Malattia di Parkinson, le sindromi Extrapiramidali e le demenze).

Parkinson e ricerca: cosa ne pensa della nuova terapia genica?

"Si tratta di una terapia ancora sperimentale che non ha nessuna ricaduta nel mondo reale e pratico. Per ora si stanno mettendo a posto le metodiche per procedere con questo tipo di terapia genica, ma ancora non c'è nessun dato certo che possa far sì che questa terapia venga attuata oggi".

E per quanto riguarda il nostro Paese, ci sono novità?

"L'Italia è in una posizione molto avanzata nello studio e nella cura del Parkinson. Il livello di assistenza che viene offerto dai nostri neurologi è sicuramente buono e abbiamo numerosi centri di eccellenza, specialmente localizzati all'interno di alcune università, che si occupano specificatamente di questa malattia".

Parliamo di dati: quanti casi di Parkinson ci sono in Italia e nel Lazio?

"200mila casi in Italia, tra i 15/16mila nel Lazio".

A che età si manifesta tendenzialmente questa malattia?

"Nella maggior parte dei casi dopo i 50 anni, ma può capitare anche che si manifesti prima o addirittura al di sotto dei 40 anni. Ovviamente nei soggetti oltre i 60/70 anni la frequenza è maggiore".

Qual è lo stile di vita del parkinsoniano?

"Il parkinsoniano ha una riduzione della motilità volontaria associata a tremore, quindi tendenzialmente tende a fare una vita tranquilla, ritirata e sedentaria. In realtà i pazienti affetti da questa malattia dovrebbero condurre uno stile di vita diverso".

Cioè?

"Quello che noi consigliamo sempre ai pazienti è di fare una vita che sia il più attiva possibile: recentemente, infatti, è stato dimostrato che l'attività fisica migliora le capacità cerebrali in generale, o ancora meglio le capacità di plasticità cerebrale. I parkinsoniani che svolgono attività fisica continua, insomma, stanno meglio di quelli che non la praticano. È per questo che bisognerebbe stimolarli di più".

In quali casi si possono ottenere miglioramenti grazie ai farmaci?

"In tutti i casi. Esistono varie terapie: quelle più efficaci sono le cosiddette 'terapie sintomatiche' che agiscono sui sintomi e non sulla causa della malattia. È risaputo, infatti, che non si ha ancora una conoscenza diretta della causa che determina la malattia, per cui di conseguenza non si possono dare terapie curative. Però, ripeto, ce ne sono alcune molto buone che agiscono bene prevalentemente sulla riduzione della motilità e sul tremore".

Esistono trattamenti alternativi ai farmaci?

"No. I pazienti affetti dalla malattia di Parkinson vengono trattati tutti con farmaci molto efficaci, mentre diverse sono le terapie sintomatiche. Abbiamo un corredo farmacologico abbastanza vario e, a seconda della tipologia, possiamo utilizzare un farmaco piuttosto che un altro. Esistono terapie chirurgiche che si utilizzano però nelle fasi avanzate della malattia e dopo anni di terapie, dopo cioè che i farmaci non sono più efficaci e tendono a causare effetti collaterali. In quei casi si tende a usare terapie che consistono nella stimolazione di zone cerebrali, per cui si va a ripristinare la situazione sintomatologica. Ci sono infine terapie alternative, ma tra queste le uniche che sono state validate sono quelle di riabilitazione che hanno a che fare con l'esercizio fisico".

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