Il sistema della 'Ndrangheta a Roma: gli "zingari" usati come teste di legno
A Roma "c'è pastina per tutti". Tra i 26 arrestati anche Carmela Alvaro, la figlia di Vincenzo Alvaro, il boss della 'Ndrangheta che credeva di essere 'Il Papa': "Allo Stato infame non lascio niente, brucio tutto"
"C'è pastina per tutti". Cioè a Roma c'è possibilità di fare ogni tipo di affare. Lo sanno bene Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo che avrebbero incassato da "giù" (intesa come Calabria) l'autorizzazione a costituire una "locale" di 'Ndrangheta a Roma.
Se gli arresti dello scorso maggio hanno svelato l'organigramma di Alvaro e Carzo, il blitz di mercoledì 9 novembre accende i fari sull'aspetto imprenditoriale dell'organizzazione. E il "sistema Alvaro", quello per inserirsi nell'economia legale era quello del "resettaggio" delle società per sfuggire così alle inchieste e riciclare in continuazione il denaro sporco.
Ventisei le persone arrestate, di queste 24 in carcere. Tra loro anche Carmela Alvaro, trentaduenne figlia del boss Vincenzo. La donna, secondo quanto emerso dalle indagini, terrorizzava e minacciava gli amministratori giudiziari nominati dopo l'inchiesta Propaggine. Uno era stato persino chiuso dentro uno sgabuzzino.
Il sistema Alvaro
Da questa ultima indagine emerge come la "locale" romana avrebbe "continuato a operare anche dopo l'esecuzione delle ordinanze cautelari personali e reali del 10 maggio 2022". A guidarla la diarchia di Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, appunto. Proprio di 'Sistema Alvaro' parla l'antimafia di Roma, perché le attività della "locale" sarebbero andate avanti "continuando a seguire l'ordine dato da Vincenzo Alvaro".
L'ordinanza spiega bene il metodo, in 4 passaggi. Si parte con la "cessione della locazione dell'immobile in cui opera l'azienda appartenente alla società a rischio di individuazione da parte delle indagini di polizia giudiziaria della Dda di Roma". Secondo step la "nuova locazione da parte di una diversa società neo costituita, con altri prestanome del clan come titolari fittizi delle quote sociali, teste di legno quali legali rappresentanti delle stesse e capitali di avviamento di oscura provenienza non certamente propri degli intestatati fittizi privi di redditi dichiarati".
Terzo passaggio le "richieste di autorizzazioni amministrative e di nuove licenze, a nome della neo costituita società, ma di fatto negli stessi beni aziendali della precedente società ritenuta compromessa, compreso avviamento, segni distintivi etc.., senza che questa si opponesse a tale spoglio". Ultima fase invece riguarda l'inizio di "esercizio dell'attività gestita dalla neo costituita società, di fatto nella stessa azienda spogliata a quella a rischio di indagine della Dda di Roma". Un "resettaggio" per liberare le nuove aziende "da qualsiasi peso", in modo da "sfuggire a eventuali misure di prevenzione patrimoniali".
Il trucchetto dello straniero
Il sistema di "testa di legno", dell'intestazione fittizia delle attività commerciali su Roma è strutturato. Nel 2017, stando a quanto ricostruito, è lo stesso Alvaro ad illustrare al cugino Antonio Carzo "quanto fosse conveniente fare ricorso allo strumento dell'intestazione fittizia". Un reato per il quale "è difficile essere arrestati".
"Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zingaro a cui regalare 500/1000 euro e a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società. - dice il boss Vincenzo Alvaro a un altra persona nel corso di un dialogo intercettato e riportato nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Gaspare Sturzo - Io ho fatto un fallimento da un miliardo e mezzo e ho la bancarotta fraudolenta. Mi hanno dato tipo l’articolo 7 e poi mi hanno arrestato e ancora devo fare l'Appello. Vedi tu, è andato in prescrizione".
Il gruppo sarebbe stato capace di infiltrarsi in numerose attività commerciali dal settore ittico, alla panificazione, passando per la pasticceria ma anche il ritiro delle pelli e degli olii esausti. Attività perlopiù presenti nelle zona del Tintoretto, Furio Camillo e Appio Latino. Tutto per riciclare anche il denaro sporco. "Io non ho messo chiacchiere ho messo soldi là sopra – dice ancora Alvaro intercettato – in una conversazione su un affare in itinere".
La mappa dei locali in odore di Ndrangheta a Roma
"Allo Stato infame non lascio niente, brucio tutto"
Tra i 26 arrestati c'è anche Carmela Alvaro, figlia del boss Vincenzo Alvaro. Alla donna, in concorso con un altro indagato, viene contestato di aver privato "della libertà personale un uomo nominato dall'amministratore giudiziario come preposto alla gestione degli incassi dell'impresa, sottoposta a sequestro preventivo".
In sostanza, si legge nel capo di imputazione, "dopo aver dato in escandescenza con urla e atteggiamenti aggressivi tali da intimidire l'uomo - un incaricato da un ufficiale giudiziario -, lo tenevano bloccato per circa quindici minuti all'interno dei locali di via Eurialo" al Tuscolano abbassando la saracinesca e quindi impedendogli di uscire con "un atteggiamento tale da intimidirlo".
Solo dopo circa quindici minuti "la saracinesca veniva rialzata grazie all'inatteso arrivo del fornitore del latte, circostanza che offriva all'uomo - si ricostruisce nell'ordinanza - l'occasione per uscire dai locali". In un'occasione la donna, per far rinunciare all'incarico l'uomo nominato dall'amministratore giudiziario, con tono intimidatorio aveva detto "non devi toccare i miei soldi, sei un infame, servo dello Stato". E ancora "e allo Stato infame non lascio niente, brucio tutto".
Il gip: "Patti mafiosi per infiltrare economia romana"
Gli inquirenti sottolineano la capacità di Antonio Carzo di aggregare i numerosi 'ndranghetisti sparsi per Roma. Vincenzo Alvaro sarebbe stato "complementare" con il talento naturale per gli investimenti. Che ci fosse da guadagnare per tutti lo sapevano anche i sodali: "Non è che io devo comandare qua a Roma. A Roma io lo so, questi della Magliana sono tutti amici nostri, tutti questi dei Castelli sono, questi dentro Roma, tutto l'Eur che sta tutto con noi. Li conosciamo tutti, a Torvajanica, al Circeo. Sono amico di tutti e mi rispetto con tutti".
Il gip Gaspare Sturzo scrive che sarebbero stati sanciti "patti mafiosi volti a garantire gli accordi imprenditoriali per infiltrare l'economia romana". Per il magistrato è evidente come "sussista anche l'aggravante dell'agevolazione mafiosa contestata - aggiunge il gip - quanto al voler favorire l'associarsi di soggetti pluripregiudicati o già collegati con esponenti mafiosi calabresi della 'ndrangheta con Vincenzo Alvaro, capo del locale di 'ndrangheta capitolino anche nella costola alvariana, senza mai far figurare la presenza formale dello stesso, o quella degli stessi soci consapevoli della necessita' di impiegare prestanome".
"L'analisi sopra compiuta consente di dire come gli intestatari formali - prosegue il giudice - per ragioni di parentela o di provata vicinanza storica, fossero anche a conoscenza delle persone di cui erano prestanome e teste di legno nella gestione societaria e delle ragioni per cui erano stati utilizzate come mezzi di occultamento necessari".
"Colpita al cuore degli affari illeciti la mafia calabrese"
A commentare l'operazione ci ha pensato Gianpiero Cioffredi, presidente dell'Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio: "Quello che emerge è un vasto ed inquietante sistema di inquinamento del tessuto economico ed imprenditoriale romano, nei settori della panificazione all'ingrosso e al dettaglio, produzione e distribuzione di gastronomia, bar, ristoranti, tabaccherie, sale giochi, centri autorizzati di ricariche carte del tipo Poste pay, vendita di tagliandi dei giochi del Lotto e delle scommesse controllati dall'agenzia dei monopoli di Stato, per poi allargarsi alla vendita e noleggio di auto, vendita di pezzi di ricambio usati di autovetture".
"È inoltre significativa la forza e la capacità dì intimidazione e dì infiltrazione nel territorio romano senza bisogno di esteriorizzare l'uso della violenza perché bastava manifestarsi come propaggine del vertice calabrese della 'Ndrangheta. - aggiunge - Questa ennesima inchiesta pone interrogativi a tutte le istituzioni di Roma, alle associazioni dell'impresa, agli ordini professionali, alle forze sociali, affinché insieme condividano al più presto un'agenda comune nel contrasto alle robuste infiltrazioni mafiose nell'economia della capitale".