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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Il dolore dei colleghi di Maricica: “Chi lo dirà al suo bambino?”

A Villa Fulvia i colleghi della donna romena colpita da un pugno ad Anagnina: "Voleva portare suo figlio a Roma. Il bimbo è ancora in Romania, e sperava di riuscire a portarlo presto qui. Chi gli dirà che la mamma non c'è più"

Un posto silenzioso e tranquillo, un grande giardino verde, ben curato, dove pazienti e visitatori parlano, ascoltano, sorridono. Sembra un pomeriggio qualsiasi nella casa di cura Villa Fulvia, centro di riabilitazione motoria a via Appia 901. Ma tra gli infermieri dei reparti c'è un clima di attesa.

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Lavorava qui Maricica Hahaianu, l'infermiera romena di 32 anni aggredita alla stazione della metropolitana Anagnina lo scorso venerdì. Le sue condizioni tra giovedì sera e venerdì mattina si sono molto aggravate, tanto che già ieri si parlava di morte cerebrale. Un'attesa meramente tecnica perché la legge richiede che trascorrano sei ore prima che si accerti la morte celebrale. Un countdown iniziato alle 15 e che è terminato alle 21, quando è stata constata la morte della donna.

Al terzo piano di questa casa di cura abbiamo chiesto ai colleghi della donna qualcosa su di lei, per sapere che persona era, Maricica, se professionalmente valida, una collega su cui contare e di cui fidarsi.

Claudio, infermiere, ci conduce nel mondo di Maricica, quello che aveva lasciato forse proprio venerdì, prima di recarsi alla stazione per prendere la metropolitana. "Non la conoscevo molto bene - ci confida Claudio- ma sapevo che era una persona molto seria, una valida professionista. Non stava qui da molto tempo, non avevo avuto modo di parlarle."

Rossella, una ragazza giovane, sorride quando le chiediamo di Maricica. "Seria, molto tranquilla, educata. Era evidentemente timida ma molto diretta allo stesso tempo. Se qualcosa non le andava bene la contestava, ma aveva modo di relazionarsi, tutti ci trovavamo bene con lei."

"Era cosi dolce e carina che non ci credo alla storia che lei possa aver provocato la lite, o alimentato la discussione, come ho letto da qualche parte - ci confida Massimo, un altro infermiere che conosceva Maricica. "Non era irruente, era molto calma e disponibile."

Tutti concordano sul fatto che, chiunque abbia ragione o torto, un gesto del genere non può e non deve essere perdonato. Chi ha sbagliato deve pagare perché non si può vivere nella paura, i colpevoli vanno puniti. Le donne non si toccano, Maricica non doveva finire così.

Aspettano e sperano i colleghi di Villa Fulvia, confidano ancora nella possibilità di una ripresa che possa essere totale. "Se non potrà tornare ad essere felice, però, forse è meglio che la stacchino subito, quella spina" dice Rossella, che è la persona che con la donna aveva un rapporto più confidenziale, come le altre infermiere romene che lavorano con lei.

"Nonostante fosse molto riservata mi aveva confidato, proprio qualche giorno fa, che voleva portare suo figlio a Roma. Il bimbo è ancora in Romania, e sperava di riuscire a portarlo presto qui, perché era giusto che stesse insieme alla sua mamma e al suo papà, Adrian, il marito di Maricica." Si commuovono i colleghi, pensando al bimbo di Maricica, al quale prima o poi qualcuno dovrà dire, presumibilmente, che la mamma non c'è più.

Ci salutano con un pensiero che esprimono insieme, all'unisono, quasi: "Quello che è accaduto ci ha procurato un enorme dispiacere. Non ci vogliamo ancora credere. Se non ce la facesse perderemmo una donna, una collega, una mamma, una moglie, che non meritava di subire questo. Ma la speranza è l'ultima a morire."

Il video dell'aggressione alla metro di Anagnina

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