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Mondo di mezzo: niente mafia, solo corruzione. Ecco le motivazioni della sentenza

Le 3200 pagine sono state depositate dai giudici della X Sezione penale del Tribunale di Roma

"Nessuna mafiosità, solo corruzione". E' quanto si legge nel documento di oltre 3200 pagine depositato la mattina del 17 ottobre dai giudici della X Sezione penale del Tribunale di Roma in un passo delle motivazioni della sentenza di "Mafia Capitale". Il documento è stato depositato dopo una comunicazione ai legali delle parti arrivata nella tarda serata di lunedì 16 ottobre.

Le motivazioni delle sentenza 

Come si legge nel documento dei giudici romani: "Fama a parte, l’esistenza di un collegamento soggettivo non significa, però, automatico ripristino o prosecuzione del gruppo precedente: non è sufficiente l’intervento di Carminati, ‘erede della banda della Magliana’, a stabilire un rapporto di derivazione tra detta banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto". 

I due gruppi criminali

Un lungo documento nel quale si spiega: "Va detto che il Tribunale non ha individuato, per i due gruppi criminali (quello costituito presso il distributore di Corso Francia e quello riguardante sugli appalti pubblici), alcuna mafiosità ‘derivata’ da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose”. Per i giudici insomma “le due associazioni non sono caratterizzate neppure da mafiosità autonoma". 

Articolo 416 bis

E, si legge ancora nella motivazione dei giuidici della X Sezione "deve quindi ribadirsi l’impossibilità di tenere conto – ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 416 bis c.p. – di eventuali condotte qualificabili come ‘riserva di violenza’, condotte che possono riguardare soltanto le mafie ‘derivate’, le uniche in grado di beneficiare della intimidazione già praticata dalla struttura di derivazione”. 

Gruppo di Buzzi e benzinaio di corso Francia

Nessuna risultanza istruttoria dimostra, però, che Salvatore Buzzi ed i suoi sodali, nelle attività illecite riguardanti la pubblica amministrazione, conoscessero ed intendessero avvalersi dei metodi e dei comportamenti utilizzati dal gruppo costituitosi presso il benzinaio di Corso Francia.

Corruzione, ma non intimidazioni 

La ‘mafiosità’ cui più volte hanno fatto riferimento gli accusatori nel processo al ‘mondo di mezzo’ non è quella “recepita dal legislatore nella attuale formulazione della fattispecie di cui all’art. 416 bis per la quale, non è sufficiente il ricorso sistematico alla corruzione ed è invece necessaria l’adozione del metodo mafioso, inteso come esercizio della forza della intimidazione”. 

Armi solo in conversazioni 

Per quanto concerne le armi, nella sentenza penale sul Mondo di Mezzo e Mafia Capitale si legge ancora: "Le armi da sparo esistono nelle conversazioni tra Carminati e Brugia ma non sono mai state rinvenute nella dispobilità dei predetti; nel corso delle perquisizioni delle loro abitazioni vennero individuati luoghi di occultamento compatibili con le indicazioni contenute nelle conversazioni intercettate e, in casa di Brugia, venne rinvenuto un Kit per la manutenzione di armi”. 

La katana di "Samurai"

"In tale situazione – si legge ancora in un passo delle motivazioni della sentenza su Mafia Capitale – l’accusa non ha potuto elevare alcuna imputazione per i reati di porto o di detenzione di armi. Le armi da taglio consistono nel machete e nella spada giapponese indicata come Katana, rinvenute presso l’abitazione di Carminati: la Katana, esposta sopra il camino della abitazione, costituisce – a detta di Carminati – un regalo di Lorenzo Cola in omaggio al soprannome di ‘Samurai’. Né armi da fuoco né armi da taglio sono state utilizzate in operazioni di scorrreria, nei termini derivanti dalla previsione della norma citata".

Nessun legame con la Banda della Magliana

Secondo i giudici non esiste nessun legame tra il Mondo di Mezzo e la Banda della Magliana: "Non è possibile stabilire una derivazione tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l’associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la Banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie (il traffico e lo spaccio di droga, il gioco d’azzardo, le usure e le estorsioni, il possesso di armi e gli omicidi per assicurarsi il controllo del territorio ) che ha operato nella città di Roma, ramificandosi pesantemente sul territorio, oltre 20 anni orsono, tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 90".

Epigoni della Banda della Magliana 

Rispetto alla ormai passata ‘banda della Magliana’ si aggiunge: "Non vuole certo negarsi che alcuni epigoni della banda, ancora presenti sul territorio, operino attualmente a livello criminale, sia singolarmente sia in combutta con altre realtà criminali – proseguono i giudici – queste però appaiono diverse, strutturalmente e soggettivamente, dalla originaria matrice e rappresentano un fattore criminale che desta allarme per le sorti della città ma che risulta del tutto disconnesso dalla originaria struttura”. 

Il gruppo di Carminati 

"Dunque non può affermarsi che Carminati ed il gruppo da lui comandato (inteso, secondo l’accusa, come associazione unica) affondino le loro radici nel sostrato criminale romano degli anni 80, per avere mutuato dalla ‘banda della Magliana’ alcune delle sue principali caratteristiche organizzative: sembra evidente la profonda diversità tra gli affari criminali dell’epoca e quelli accertati nel corso del presente processo, i quali attengono – quelli relativi agli appalti pubblici – ad una particolare forma di rapporti tra mondo politico ed imprenditoria organizzati in funzione, specialmente, di assicurare ai partiti politici il finanziamento necessario alla loro sopravvivenza e di spartire tra le varie componenti politiche (e tra gli imprenditori a ciascuna riferibili) il provento dei lucrosi affari connessi alla gestione della cosa pubblica".

Fatti di estrema gravità 

Una operatività interrotta dalle indagini e dal processo. Come si legge ancora nelle motivazioni della sentenza: "Tralasciando il clamore mediatico, non vi è dubbio che i fatti accertati siano di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati-fine realizzati in forma associata, con la costituzione delle due associazioni delle quali si è detto, ed infine per la durata stessa della condotta antigiuridica, che è proseguita nel tempo e che, con l’affinamento dei metodi di azione, ha creato le premesse per una permanente operatività, interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi". 

Inquinate le scelte politiche 

Per quanto concerne i metodi corruttivi diffusi a Roma: "nel settore degli appalti pubblici, l’associazione ha avuto la capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l’azione della pubblica amministrazione: ciò dimostra la pericolosità dell’associazione nel suo complesso ed anche quella dei singoli partecipi i quali, dotati di diversificate qualità professionali, le hanno fatte consapevolmente convergere verso la realizzazione dei loro propositi criminali".

Il ruoli di Buzzi

Per quanto concerne il Ras delle cooperative romane, si legge: "Il ruolo di Buzzi, quale capo di detta associazione, si desume dall’esame dell’intera vicenda, che lo vede sempre impegnato in prima persona, e con ruolo decisamente centrale, nella incessante attività di accaparramento di appalti pubblici, attraverso la rete di conoscenze e contatti da lui abilmente coltivata".

Il ras delle cooperative 

 I giudici della X sezione penale del tribunale di Roma in merito al cosiddetto ‘ras delle cooperative’ condannato a 19 anni di reclusione, scrivono ancora: "La lunga esperienza maturata da Buzzi nel settore della cooperazione sociale e gli stessi contatti, con politici ed amministrativi – si aggiunge – costruiti nel tempo in relazione all’attività delle cooperative, sono stati da lui sapientemente utilizzati e sfruttati per la commissione di reati finalizzati – consentendo una innaturale espansione sul mercato – a potenziare i profitti delle cooperative e dei soggetti che di esse avevano la direzione e la gestione”. Insomma “il dato appare ancor più grave ove si tenga conto del percorso di Buzzi, che pure aveva tentato di recuperare il suo passato criminale, e della conoscenza di tale percorso che avevano i suoi collaboratori e sodali, conoscenza che avrebbe dovuto indurrre a salvaguardare l’esperienza della creazione di cooperative sociali finalizzate al recupero di ex detenuti e non ad orientarle verso la commissione di reati gravi, e commessi in forma associata". 
 

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