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Cronaca

La piccola Lavinia investita nel parcheggio dell'asilo 'fantasma' che "per Comune e Asl non esisteva"

Nuova udienza del processo sull'investimento di Lavinia Montebove, travolta a 16 mesi fuori da una struttura non dichiarata agli enti competenti

La piccola Lavinia Montebove è stata investita nel parcheggio di un “asilo fantasma”, una struttura sconosciuta al Comune, alla Asl e all’Agenzia delle Entrate per cui, viste le premesse, non era possibile accertare le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza.

È quanto è emerso nel corso della terza udienza del processo per l’investimento di Lavinia, la bimba di 16 mesi che la mattina del 7 agosto 2018 venne travolta da un’auto mentre gattonava, non supervisionata, nel parcheggio del nido La Fattoria di Mamma Cocca di Velletri.

Imputate nel procedimento ci sono Chiara Colonnelli, la donna che era al volante dell’auto che ha investito la bambina, in stato vegetativo e irreversibile, e la maestra del nido, Francesca Rocca: la prima è accusata di lesioni gravissime, la seconda di abbandono di minori. Un’accusa da cui Rocca si è sempre difesa sostenendo di non avere mai perso di vista Lavinia né di essersi distratta, pur non avendo ancora fornito spiegazioni su come la piccola possa essere arrivata, gattonando, all’esterno della struttura sin sul vialetto di accesso.

Le testimonianze dei poliziotti intervenuti sulla scena

Qualche chiarimento potrebbe arrivare nella prossima udienza, quando saranno proprio le due imputate a parlare. In quella di lunedì, invece, a testimoniare  davanti a mamma Lara Liotta e a papà Massimo Montebove, sin dall’inizio presenti in aula e diventati anche la voce di Lavinia, sono stati i poliziotti che per primi sono arrivati sulla scena e hanno avviato le indagini.

A prendere la parola sono stati un operatore del commissariato di Velletri, uno della scientifica e un agente della stradale di Albano, che hanno riferito quanto accertato nelle ore e nei giorni successivi alla tragedia: dalle risposte fornite è emerso che l’asilo era inesistente per gli uffici comunali e per la Asl, quantomeno dal 2017 in avanti, pur avendo diversi iscritti e ricevendo le rette da parte dei genitori dei bambini che lo frequentavano. La struttura dopo l’incidente è stata chiusa e non ha più riaperto.

“Quello che è emerso oggi in aula dalla testimonianza dei poliziotti che hanno svolto i primi atti e avviato le indagini è che la struttura era un asilo fantasma - ha sottolineato l’avvocato della famiglia, Cristina Spagnolo - Al Comune non era stata presentata alcuna Scia, così come previsto dal regolamento del 2017, nessuna comunicazione è mai arrivata agli uffici Asl competenti, non era registrata all'Agenzia delle Entrate con autonomo codice fiscale ed esercitava in uno stabile locato ad uso abitativo. Con queste premesse nessuna amministrazione avrebbe potuto esercitare alcuna forma di controllo sull'idoneità, dal punto di vista igienico sanitario e della sicurezza".

La mamma di Lavinia: "Un asilo degli orrori"

"Più andiamo avanti con le udienze e più ci rendiamo conto del quadro di sciatteria e superficialità in cui abbiamo fatto involontariamente vivere i nostri figli, in quell’asilo degli orrori - è il commento della mamma di Lavinia - Un asilo che si presentava in modo molto diverso da come oggi appare dal processo così come la maestra titolare, a cui purtroppo abbiamo dato una fiducia che non meritava. Oggi Lavinia è in stato vegetativo per questo".

La prossima udienza è fissata al 6 giugno per l’ascolto di alcuni periti, mentre per il 27 giugno è prevista quella più importante: verranno ascoltate le due imputate, che daranno finalmente la loro versione dei fatti dopo quasi 4 anni. Il processo, iniziato a metà marzo, procede dunque a ritmi sostenuti, anche per cercare di scongiurare il rischio prescrizione.

“Stiamo correndo, ma c’è una mannaia che nel 2025 si abbatterà sul processo - aveva detto a RomaToday Lara Liotta - La nostra speranza è che vengano chiarite nel merito tutte le responsabilità e non intervenga la prescrizione a raccontare che il reato si è estinto. Vogliamo un minimo di giustizia, per raccontare ai fratelli di Lavinia che papà e mamma hanno lottato perché credevano in una società civile e giusta".

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