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Cronaca

Morta a 43 anni dopo un intervento per perdere peso, assolti i medici: la rabbia della famiglia

Immacolata Buontempone è stata operata a Reggio Calabria e poi trasferita d’urgenza a Roma. Per la sua morte 8 medici sono finiti a processo

“Mia madre è morta per un’operazione semplicissima, e dopo nove anni di processo, di attesa e di dolore. scopriamo che nessuno ne è responsabile".

Dietro l’amarezza, nella voce di Marianna De Pietro si percepisce anche il dolore cocente per la perdita della mamma, Immacolata Buontempone, morta nel 2013 a soli 43 anni dopo essere stata sottoposta a un intervento chirurgico per perdere peso. L’operazione prevede l’inserimento di un palloncino nello stomaco ed è considerata di routine, ma a Immacolata, mamma di tre figli, la più piccola di appena tre anni, è costata la vita.

Per la sua morte la procura di Roma, nel 2018, aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per un chirurgo della clinica Villa Sant’Anna di Reggio Calabria, dove la donna era stata operata, e per sette medici del Policlinico Umberto I di Roma, ospedale in cui era stata portata in condizioni disperate dopo il perforamento dell’esofago avvenuto durante l'operazione. Venerdì è arrivata la sentenza: tutti assolti.

“Mia madre era in sovrappeso, voleva dimagrire - racconta a RomaToday la figlia Marianna - Aveva iniziato a interessarsi all’intervento di riduzione dello stomaco tramite il palloncino e si era rivolta alla clinica Villa Sant’Anna di Reggio Calabria, dove abitiamo. Il 23 marzo  2013 è stata ricoverata e operata, ma qualcosa è andato storto e lei si è sentita male. Il nostro consulente legale ha spiegato poi che nell’inserimento del palloncino era stato lesionato l’esofago, una lacerazione che ha causato una gravissima infezione”.

Il racconto della mamma: "Mia figlia mi diceva 'sto male, non riesco a respirare'"

Paola Parisi, la mamma di Immacolata, ricorda come fosse ieri quella mattina di marzo di 9 anni fa: “Quel giorno l’ho accompagnata io - conferma - siamo arrivate alle 8 del mattino, i medici le hanno messo il camice e l’hanno chiamata per prima. Mi hanno detto che avrei potuto vederla nel giro di poco tempo, e invece io per almeno tre ore non ho più visto mia figlia. In tarda mattinata, dopo che anche le altre persone in lista per lo stesso intervento erano state operate, sono venuti a chiamarmi i dottori per avvisarmi che era successo qualcosa”.

Paola a quel punto entra nella stanza in cui la figlia si trova ormai da diverse ore, e dove si avvicendano i dottori: “Sono entrata e l’ho vista, sono rimasta scioccata: era gonfia, scura in viso, irriconoscibile. Mi ha detto ‘mi sento male mamma, non riesco a respirare’. Ricordo che una dottoressa le massaggiava le spalle. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, sapevo solo che mia figlia aveva paura e dolore, e che nessuno riusciva ad aiutarla né a spiegare cosa avesse”.

Il trasferimento all'Umberto I e la morte

Immacolata resta in questo limbo per 39 ore: i medici della clinica provano a trasferirla agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, ma la donna non viene accettata. I familiari smuovono mari e monti e riescono a trovarle un posto al Policlinico Umberto I di Roma, dove viene portata in elicottero.

È passato un giorno e mezzo dall’operazione, e all’arrivo all’ospedale romano i medici riscontrano una setticemia, un'infezione potenzialmente letale. Viene indotto il coma farmacologico, l’equipe medica prende tempo e spiega alla famiglia che la febbre deve scendere per consentire l’operazione. Nove giorni dopo il ricovero all’Umberto I Immacolata viene riportata in sala operatoria, dove viene sottoposta a un delicatissimo e lungo intervento chirurgico: entra in sala operatoria il 3 aprile e vi resta quasi 12 ore, la mattina del 4 muore.

“Mia madre avrebbe potuto salvarsi se operata in tempo”

“Il nostro consulente legale ha spiegato in aula che mia madre poteva salvarsi - sottolinea Marianna -  bastava una semplice protesi nell’esofago per chiudere la lacerazione. Invece si è perso tantissimo tempo, prima in clinica e poi all’Umberto I, e nessuno sembrava sapere cosa fare".

"Abbiamo sempre chiesto solo e soltanto giustizia - prosegue Marianna - mia madre è morta per un’operazione di routine che dura pochi minuti, e dopo nove anni e un’accusa di omicidio colposo di primo grado tutti i medici sono stati assolti. Questo nonostante che il nostro consulente abbia sempre sostenuto che se si fossero rispettati i tempi giusti e si fosse intervenuti subito l’esito sarebbe stato molto diverso”.

“Come è possibile un’assoluzione? Parliamo della morte di una persona che resta senza responsabili", le fa eco Paola Parisi, che oggi ancora si rimprovera di non avere chiamato le forze dell'ordine: "Se l'avessi fatto non avrebbero mai potuto far passare così tanto tempo. Perché non hanno aiutato subito mia figlia? Se non avessero continuato con le operazioni e l’avessero controllata immediatamente avrebbe potuto salvarsi. Non vogliamo e non abbiamo mai voluto soldi, vogliamo giustizia, vogliamo che si sappia quello che è accaduto affinché non si ripeta più”.

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