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Cronaca Tor Bella Monaca

Così nasce un pusher: ecco come le piazze di spaccio di Roma reclutano forza lavoro

Gli arresti non si fermano, così come l'allarme sociale. L'esperto: "L'antiStato che riempie i frigoriferi e permette alle famiglie di vivere"

Oltre 100 arresti in due settimane, eppure lo spaccio a Roma est non si ferma. A Tor Bella Monaca e San Basilio quando una pedina viene tolta dallo scacchiere, un'altra prende il suo posto. L'importante è che l'attività - illegale - non si fermi. Un sistema economico illecito capace, come raccontano le ordinanze delle operazioni di carabinieri e polizia fatte negli ultimi anni, di generare incassi a sei cifre al mese. Insomma, vere e proprie aziende che devono andare avanti ad ogni costo.

Un flusso continuo che fatica a fermarsi. In via Camassei tanti lettori ci hanno segnalato come lo spaccio - 24 ore dopo l'ultimo blitz - fosse già ripreso. In via dell'Archeologia stessa situazione, come testimonia anche la nuova (mini) raffica di arresti dei carabinieri: i blitz, dunque, non fermano lo spaccio. Anzi, paradossalmente creano anche nuove oppprtunità di lavoro per chi, in quelle zone dimenticate dalla città (intesa la Roma in cui vivono le Istituzioni), un impiego non ce l'ha. Perché posti di lavoro non ce ne sono. È così che inizia la vita di un pusher che, nella quasi totalità dei casi, termina con l'arresto.  

"L'antiStato riempie i frigoriferi e permette alle famiglie di vivere"

Perché queste piazze di spaccio, nonostante la costante pressione delle forze dell'ordine, continuano però a rimpolparsi, marciare, vendere 'sballo' e guadagnare? Come mai in queste periferie i pusher e le vedette non mancano mai? Perché un giovane si ritrova a lavorare nelle piazze della droga, invece di trovare un impiego che non sfoci nell'illegalità? La risposta è brutale. A darla è chi vive lì, in quei palazzoni con le fognature e gli ascensori rotti: "Lo Stato non c'è, ci ha abbandonati". 

Secondo lo psicologo e psicoterapeuta dottor Giuseppe Fulco, che ha seguito alcuni dei giovani che vivono o hanno vissuto in quei contesti, le radici di questo modo di concepire la normalità sono molto radicate: "In questi luoghi l'antiStato riempie i frigoriferi e permette alle famiglie di vivere. È facile entrare con le telecamere nei quartieri e denunciare così, quasi alla buona, lo spaccio. Lo sa anche chi spaccia che la droga fa male e uccide, ma c'è un mondo dietro. Ci sono storie di persone che faticano a fare la spesa, nuclei che come 'attività di famiglia' hanno la compravendita di droga e non un alimentari, giovani che non hanno luoghi di aggregazione e sfoghi lavorativi, se non l'anfratto dove ci si sballa. Victor Hugo diceva che non esiste l'erba cattiva o uomini cattivi, ma esistono cattivi coltivatori. E il cattivo coltivatore è lo Stato".

La denuncia di una mamma smantella la piazza di spaccio da 220mila euro settimanali

Le illusioni di una vita legale 

Per saperne di più RomaToday è entrata in contatto con una serie di professionisti che hanno seguito ragazzi, i cui sono sono poi comparsi nelle ordinanze di arresto delle recenti operazioni antidroga. Chi parla, per tutela propria e del giovane paziente, lo fa restando anonimo in questa sede. Sono psichiatri, hanno partecipato a progetti regionali o comunali e, attraverso cooperative, avuto in cura alcuni giovani. Tutti maschi con il padre o il fratello come punto di riferimento. Familiari poi finiti dentro perché vivevano di furti o spaccio, e che cercavano così di evadere dal "carcere" della periferia e cambiare strada. 

"Ho avuto in cura uno dei ragazzi arrestati recentemente. Il nostro è stato un rapporto burrascoso, complice anche una famiglia che lo ostacolava. - racconta uno psichiatra - Il papà era in carcere, il fratello era già entrato nel mondo dello spaccio e la mamma vedeva il figlio che cercava una nuova vita come una pecora nera. Il percorso è stato duro, abbiamo fatto due tirocini. Un lavoro onesto. Vero. Pochi spicci in tasca, ma sicuramente soldi guadagnati con il sudore". Sacrifici, però, non apprezzati dalla famiglia, dagli amici, dal quartiere (quello oscuro si intende). 

"Il ragazzo veniva visto come una "guardia", un "infame", perché aveva deciso di fare altro nella vita. L'iter è stato lungo. Fino ai 18 anni", continua. Poi, con la maggiore età, i progetti di supporto finiscono, i tirocini convenzionati anche e il giovane che assaggia la legalità, torna ad essere un numero per la società. La luce si spegne. "Qui lo Stato sbaglia. Non supportando più questi ragazzi fragili con situazioni al limite in un contesto borderline, uomini solo per l'anagrafe, li abbandona e loro, senza alternative, con lavori saltuari e mal pagati, si buttano nell'illegalità".  

L'alternativa è solo la piazza di spaccio?

Spesso emarginati se provano a cercare un'alternativa legale, senza un impiego e quindi con il frigo vuoto, la piazza di spaccio del quartiere che promette e garantisce guadagni - sporchi - viene così vista come unica via. D'altronde il "servizio" offerto dai boss è allettante: lavoro (i pusher e le vedette guadagnano dai 50 ai 120 euro al giorno), assistenza legale in caso di guai con la legge, supporto per le famiglie dei detenuti e - perché no - durante i turni di lavoro che travalicano la pausa pranzo/cena, vengono offerti anche i pasti per chi è in strada a spacciare anche in orario pasti. 

Dove si fa fatica a trovare un lavoro, un impiego lo dà così chi dell'illegalità fa il proprio stile di vita. Sono loro che riescono a intercettare questa forza lavoro delusa, che si sente abbandonata dallo Stato, portandoli dalla loro parte, assoldando soldati utili per rinforzare i propri eserciti. E allora gli arresti, in serie e costanti, non bastano. Non bastano perché quei giovani che fino a pochi mesi prima si sentivano dire di no al decimo curriculum inviato, ora possono permettersi gite in elicottero, in yacht, possono comprare Rolex o auto da 30mila euro. Ma quella è una vita che ha pochi sbocchi. E se non si conclude con il carcere, racconta di pestaggi subiti se non si sta agli ordini dei boss. 

La ricerca di un lavoro, l'assenza di supporto

Il dottor Fulco, esperto nella gestione di casi che riguardano ragazzi che chiedono aiuto, spiega: "Esistono una serie di progetti di sostegno per i minori che consentono interventi che hanno come scopo quello di assicurare la permanenza del ragazzo nel suo ambiente di origine, mirando ad un miglioramento delle condizioni di vita anche dell'intero nucleo familiare. Sono progetti che funzionano, che portano risultati, ridisegnano l'identità, ma hanno bisogno di continuità oppure di rischia una deviazione psicologica, come un rigetto".

Un altro psichiatra lo conferma: "Il ragazzo che tenevo in cura, me lo diceva sempre 'io qualcosa nel frigo ce devo mette'. Una volta ricordo che provò a comprare uno scooter usato con i soldi messi da parte grazie ad uno stage in una azienda di ferramenta. Contattò un uomo su Porta Portese, si accordarono per l'acquisto, ma fu fregato. Mi disse che tornato a Tor Bella Monaca si sarebbe messo a rubare come suo fratello. Non lo fece, ma andò in depressione ingrassando 40 chili prima e poi, senza trovare un impiego perché troppo grasso, l'unico lavoro che trovò fu quello del turnista di notte, ma in una piazza di spaccio".

Un esempio lo si può leggere tra le carte dell'ordinanza di un'operazione del 2020 che smantellò una banda di pusher. Qui tra gli episodi spiccava uno, dove un ragazzo fu aggredito per uno screzio con il boss, la sua reazione - stando alle intercettazioni - fu sorprendente: "Basta con questa vita, mollo tutto e vado a fare le pulizie con mio padre". Lui l'alternativa l'aveva, ma in casa. 

"Seguire i ragazzi anche dopo i 18 anni"

Il dottor Fulco portando ad esempio l'imprinting di Lorenz, lo scienziato che aveva covato con l'aiuto di un cuscino elettrico un uovo fecondato di oca che accudì fino all'uscita del pulcino dal guscio, spiega il lavoro di recupero che i professionisti cercano di portare a compimento: "Roma è una città enorme e questi ragazzi conoscono come unica realtà, quella della periferia in cui vivono. In quei contesti ci sono dei codici, anche comunicativi, radicati. Se lì te la vuoi cavare ti crei anticorpi e ti adatti al sistema che "funziona", sei contro lo Stato. Diversi crescono con quel tipo di concetto di normalità, se progetti di recupero sociale fanno conoscere cosa c'è fuori quel mondo, allora è dovere dello Stato e delle Istituzioni poi consentirgli di continuare a percorrere quella strada. Come spiegava Lorenz nel suo esperimento, il pulcino, trovando vicino lui come unico essere vivente, lo prese per la propria generatrice e lo seguì in ogni suo passo. Bisogna fargli conoscere altro e dagli opportunità nel mondo del lavoro vero. Seguirli anche dopo i 18 anni. Gli arresti, le denunce, i blitz, servono ma non bastano. Anzi. Di certo gli interventi frammentati danneggiano chiunque, anche nella psiche". In sostanza se prima vengono salvati e poi rigettati nel dimenticatoio, rischiano - nel caso di periferie come quelle di Roma est - una sorta di rigurgito.

Le parole del Gip su Tor Bella Monaca 

Un grido dall'allarme che il Gip Di Nicola Travaglini lanciò un anno fa, con una dura critica allo Stato nelle carte di un'ordinanza che portò all'arresto 42 persone: "Il degrado urbanistico, edilizio e sociale che si è prodotto a Tor Bella Monaca è da attribuirsi anche alla concentrazione di edifici dell'Ater, in gran parte abusivamente occupati proprio da intere famiglie di pluripregiudicati, che presentano alti costi di manutenzione, cui ha corrisposto la scarsità di investimenti sui servizi pubblici e la presenza di residenti appartenenti agli strati più disagiati della popolazione, in condizioni di emarginazione sociale. Qui lo Stato ha difficoltà a porsi ed imporsi, come dimostrato dal fatto che sono gli stessi cittadini ad avvisare gli spacciatori che sono in arrivo i carabinieri, quasi senza necessità delle vedette". In attesa del prossimo blitz che, paradossalmente, punisce chi spaccia e libera la piazza a chi cerca un nuovo lavoro. Illegale. Con guadagni da Principe

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