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Cronaca Via di Tor Pignattara

Lo spaccio di 'Ciccio' e 'Scimmietta': così lavoravano per trasformare 'Torpigna' nella nuova Tor Bella Monaca

Fra gli indagati dell'operazione che ha sgominato due piazze di spaccio a Torpignattara e una più piccola al Pigneto c'è anche Giovanni Princi, condannato a tre anni per droga nell'ambito dell'indagine legata all'omicidio Luca Sacchi

Ciccio, Zio, Mowgli, Scimmietta, Tonino, Straccaletto, Du capelli, Cammello, Mezzo Chilo, Dentone, Bambolo, Nias. Sono alcuni dei soprannomi dei protagonisti del giro di droga tra Tor Pignattara e il Pigneto. Nomignoli che restituiscono uno spaccato folkoristico, ma che fanno capire anche la comunità che si era creata nelle strade che circondano via Pietro Rovetti.

Tre le piazze di spaccio attive che ambivano a essere come quelle più strutturate di Roma, e che di fatto ricalcavano l'imprinting del welfare della droga a San Basilio o Tor Bella Monaca, per fare qualche esempio noto, con tutela legale, economica e logistica.

Il metodo della coppia di Torpignattara che occupa e "riassegna" case popolari

I tre gruppi, indipendenti tra loro, avevano ognuno un rispettivo capo. Tutti "lavoravano" riconoscendosi e senza farsi la guerra. Gruppi che si rifornivano - almeno per la stragrande maggioranza della "merce" che poi rivendevano - da 'AB', una persona rimasta ancora ignota e che da Primavalle metteva a disposizione la droga, soprattutto cocaina, da rivendere. I meccanismi ben oliati li hanno ricostruiti i carabinieri della compagnia Roma Centro insieme alla direzione distrettuale antimafia. Quindici arresti in totale, di cui dodici - tra uomini e donne - finiti in carcere.

Le zone dello spaccio  

Lo spaccio, per tutte e tre i gruppi, avveniva in un modo dinamico. Non c'erano le file che ci possono notare a volte al 'Ferro di Cavallo' o alla 'Lupa', eppure per la clientela, soprattutto studenti universitari e giovani che vivono le notti della movida, la droga non mancava mai. I carabinieri sono riusciti a ricostruire le zone e le peculiarità di tutte le piazze. 

La prima era coordinata da Tonino, il capo piazza. Il gruppo vendeva solo cocaina tra via Pietro Rovetti, via Giuseppe Cei, via dell'Acquedotto Alessandrino e via Oreste Salomone. La seconda, quella più grande e "assai più attiva" - spiegano gli inquirenti, era comandata da Ciccio, un uomo di 34 anni già arrestato nel 2019 nell'operazione 'Lucifero 2017', che aveva portato anche all'arresto di pusher legati a Fabrizio Piscitelli, alias 'Diabolik'.

La terza, che spacciava tra il Pigneto e la zona del Prenestino, vendeva piccole dosi, quelle del consumo saltuario. A timone c'era un ragazzo di 27 anni, l'unico dei tre "capi" senza un soprannome. 

La Torpignattara di Ciccio

Il gruppo di Ciccio, a Torpignattara, era quello più strutturato. Aveva come base logistica un bar situato su via di Torpignattara, era ben inserita nella zona est della Capitale e, nel tempo, era riuscita a costruire una rete capillare di rapporti, molto redditizi, con gli spacciatori della periferia romana. Scimmietta, suo braccio destro, aveva il compito di tenere i rapporti con 'AB', mentre Mowogli e un altro sodale tenevano i conti.

Secondo il gip Paola Della Monica, d'altronde, la piazza di spaccio di Ciccio aveva una "rete organizzata di persone, che cooperano fra loro (…) seguendo una ben delineata ripartizione di ruoli, funzionale al buon andamento degli affari".

La banda usava 'citofoni', così venivano chiamati i cellulari, intestati a persone di fantasia o comunque non a loro ricollegabili per eludere eventuali controlli da parte delle forze del'ordine. Escamotage che venivano utilizzati insieme ad un linguaggio criptato per eludere i controlli. "Sta piovendo", dice un pusher a un altro alludendo al grappolo di carabinieri che stavano facendo controlli in via Rovetti e via di Torpignattara. 

Non solo. La fantasia si spingeva oltre e così i nomi propri di persona venivano associati alla merce da vendere: con 'Bruno' ci si riferiva in realtà all'hashish, 'Mary' alla marijuana, mentre con 'Cristiano' veniva indicata la cocaina. Il termine 'un biglietto intero' era usato per le dosi della tipologia di droga richiesta dall'acquirente, mentre con 'chiavi della bicicletta' i membri del sodalizio comunicavano tra loro riferendosi alle chiavi dei depositi dove lo stupefacente veniva di volta in volta custodito. Luoghi che andavano dagli appartamenti al bed and breakfast.

Coinvolto anche Giovanni Princi

Nell'indagine della Dda di Roma spunta anche il nome di Giovanni Princi, già condannato per vicende di droga nell'ambito dell'indagine legata all'omicidio di Luca Sacchi nell'ottobre del 2019. Princi risulta, infatti, iscritto nel registro degli indagati per una vicenda che risale a pochi giorni prima dell'omicidio del personal trainer romano. In particolare, nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Paola Della Monica, Princi è citato per un episodio dell'11 ottobre di quattro anni fa, dieci giorni prima dell'omicidio.

Durante un servizio di osservazione Princi venne identificato in seguito all'intercettazione di alcuni messaggi inerenti ad un incontro vicino piazza San Giovanni. Incontro che effettivamente avvenne: un uomo a bordo di una moto nera venne avvicinato da Princi e dallo stesso Sacchi. Tutti e tre vennero poi identificati dai militari. 

Secondo il gip si trattava di "una trattativa per la compravendita di droga". Trattativa poi saltata per i controlli dei carabinieri. Princi, quindi, cercò "altri fornitori, avviando trattative con i narcotrafficanti di San Basilio per l'acquisto di 15 kg di marijuana in cambio di 70mila euro (dati tratti da fonti giornalistiche)", si legge nell'ordinanza, culminate con l'omicidio di Sacchi. "Sulla base di tale ricostruzione il pm argomenta per affermare che l'attività di Princi era ben avviata e che'' gli incontri ''erano finalizzati esclusivamente all'approvvigionamento di grosse partite di droga".

Il maggiore Roberto Martina, comandante della compagnia dei carabinieri Roma Centro spiega l'operazione a Torpignattara

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