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Cronaca

Casalesi e romani insieme per controllare le slot machines della Capitale: 15 arresti

Le indagini della Finanza hanno consentito di svelare un sistema di controllo della distribuzione delle macchinette mangiasoldi. Mario Iovine il creatore del business, partendo da Acilia nel 2003

Dalla provincia di Caserta, su per il Lazio, fino ad arrivare ad alcuni quartieri della Capitale. L'espansione territoriale dei Casalesi ha nel tempo raggiunto anche Roma e i 15 arresti eseguiti oggi dalla Guardia di Finanza, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ne sono la conferma. In particolare le indagini hanno accertato come, attraverso l'intimidazione mafiosa, i Casalesi fossero riusciti a garantirsi la gestione monopolistica e violenta del settore della produzione, installazione, distribuzione e noleggio delle macchinette mangiasoldi che hanno invaso in questi anni Roma. Inoltre sotto l'ala dei Casalesi era finito l’esercizio organizzato delle scommesse e del gioco, non solo in Campania, ma anche nel Lazio e in alcuni quartieri della città di Roma.

LE ACCUSE - Gli arrestati sono accusati dei reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di beni, usura, estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, detenzione illegale di armi, delitti aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa e dalla metodologia mafiosa dell’azione. La Finanza ha inoltre posto sotto sequestro beni mobili e immobili, società e disponibilità finanziarie, per un valore stimato pari a circa 30 milioni di euro.

ACILIA, 2003 - E' Mario Iovine, persona collegata al sodalizio dei Casalesi, già condannata per analoghi reati, a mettere in piedi l'intera struttura. Secondo l’ipotesi accusatoria, Iovine aveva creato, investendo proventi di attività criminose anche grazie al qualificato apporto di persone residenti ad Acilia, una società attraverso la quale con modalità violente era riuscito a realizzare un monopolio nella distribuzione delle "macchinette mangiasoldi".

Iovine era così riuscito a portare a termine la sua missione, ovvero espandere il business casalese. Nei fatti ci era riuscito con una sorta di “joint-venture” tra esponenti di vertice della criminalità organizzata campana e “imprenditori” di Acilia, a loro volta in contatto con esponenti della malavita laziale.

Lo sviluppo delle indagini ha consentito ai finanzieri di ricostruire i ramificati investimenti nello specifico settore commerciale, permettendo l’individuazione di alcune attività imprenditoriali, operanti sulla piazza capitolina, strumentali al mantenimento economico e all’egemonia criminale del gruppo camorristico dei Casalesi.

2008, RIFIFI' IN MANETTE - Una svolta nella vicenda si ha nel 2008, quando Iovine detto “Rififì”, viene arrestato. E' a quel punto che i soci romani iniziano a distaccarsi dall’organizzatore dei Casalesi iniziando a operare attraverso un loro gruppo associativo, creato a perfetta imitazione della consorteria criminale casertana e ricalcante le medesime modalità operative.

IOVINE E I CONFINI DI ACILIA - Mario Iovine però non scompare dalla scena. Dal carcere continua a tessere le fila del business, avendo però premura di non violare i confini di Acilia, dove il monopolio delle slot machine è rimasto al suo gruppo. I romani invece hanno invaso altri territori, con la benedizione dello stesso Iovine.

L'ESPANSIONE - Per farlo, secondo quanto accertato dagli investigatori, il gruppo romano si è avvalso di un braccio armato e violento, composto da un nutrito e pericoloso gruppo di cittadini albanesi, definiti “i pugilatori”, tra i quali spiccava un ex campione italiano ed europeo dei pesi medio-massimi.

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