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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Ucciso da un poliziotto su Raccordo: "Cinque anni passati senza giustizia"

Era il 30 luglio 2011. Bernardino Budroni morì con un colpo di pistola sparato da un agente dopo un inseguimento in auto. A novembre il processo d'appello, dopo l'assunzione del poliziotto in primo grado

"L'ho visto andare via da casa a mezzanotte e trentacinque minuti, mi ha salutato con quel suo sorriso... Non è più tornato". Claudia Budroni ricorda il fratello, come ogni estate dal 2011. "Sto ancora aspettando la verità". Il 30 luglio di cinque anni fa, all'alba, Bernardino morì ucciso dal proiettile sparato da un poliziotto sul Grande Raccordo Anulare. Quarant'anni, di Fontenuova, scappava quella notte da casa dell'ex ragazza, lei aveva chiamato le forze dell'ordine accusandolo di disturbo della quiete pubblica, lui, alla vista degli agenti, fuggì in auto. Una corsa che terminò con l'auto sul guard rail e un colpo di pistola, fatale. 

La sentenza di primo grado ha assolto Michele Paone dall'accusa di omicidio colposo, per il giudice si è trattato di "uso legittimo delle armi" per fermare il fuggitivo. Ma il Pm ha fatto ricorso in appello. Due le versioni dell'accaduto sostenute in aula: se per il giudice che ha emesso la sentenza, il poliziotto avrebbe sparato per interrompere una "grave e prolungata resistenza" dopo la folla corsa partita da Cinecittà, per la  la Procura non c'era alcun bisogno di fermare l'auto facendo ricorso alla pistola, perchè l'auto, di fatto, si era già fermata. 

"Dino è morto per un colpo sparato ad altezza uomo e con una traiettoria diretta che ha trapassato i polmoni ed è arrivato al cuore" ha ribadito più volte l'avvocato di parte civile Fabio Anselmo, l'ultima in una conferenza stampa del 30 marzo alla Camera. Si tratterebbe di "dimostrare l'insussistenza dei presupposti su cui si basa l'assoluzione". Uno in particolare: la velocità delle auto al momento degli spari. Per Anselmo è chiaro che "l'auto di Dino era ferma con il freno a mano tirato e la prima marcia inserita". 

Prova ne sarebbero l'altezza e il posizionamento dei fori dei proiettili rilevati sull'auto e alcune registrazioni dei carabinieri intervenuti in aiuto alla volante della Polizia che comunicano con il centralino, descrivendo i momenti degli spari: "L'abbiamo stretto e lui ha sbattuto sul guardrail e quindi non poteva andare da nessuna parte". E ancora: "Nel momento in cui lo stavamo fermando.. proprio nel momento in cui lo abbiamo stretto, lo stavamo fermando, io ho sentito due botte e ho detto: avranno sparato in aria”.

Un omicidio finito nella lista dei casi di "malapolizia", accanto ai più noti Cucchi e Uva. Sono le "vittime della tortura di Stato" che lo scorso 30 marzo sono sbarcate a Bruxelles. Rappresentanti delle famiglie, insieme all'eurodeputata de L'Altra Europa Eleonora Forenza, ad alcuni rappresentanti dell'Associazione Contro gli Abusi in Divisa (Acad) e con l'avvocato Fabio Anselmi. "Vogliamo portare quella che definiamo 'l'anomalia Italia' all'attenzione del parlamento europeo e dell'opinione pubblica". 

Aspettando l'appello per Budroni, fissato il 14 novembre dopo un primo rinvio della Corte che ha riconosciuto priorità al primo punto del ricorso avanzato dalle parti: la modifica dell'imputazione. Il capo d'accusa potrebbe cambiare: da omicidio colposo a volontario.


 

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