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Cronaca

Trova la moglie in compagnia dell'amico, gli spara e lo ammazza. Attenuanti concesse

Tre volte i giudici avevano escluso riduzioni di pena. La cassazione è intervenuta la seconda volta per ribatire che l'uomo, anche se non ha fatto una strage, "era fuori di sè"

Un uomo, una guardia giurata, sale a casa dei suoceri per pulire la sua pistola d'ordinanza. Sul divano, a guardare un film porno trova la moglie, discinta, ed un altro uomo, nudo. Prende l'arma e gli scarica tre colpi addosso (all'uomo); però non lo uccide. Rincorre la moglie insultandola in un'altra stanza ma poi ritorna sui suoi passi, si avvicina all'uomo ferito, e gli spara altre due volte. E stavolta gli spara in testa, lo ammazza.

L'uomo, Angelo Piro (47 anni), venne condannato dal gup di Genova a 14 anni di reclusione per l'omicidio non premeditato di Giovanni Grasso (38 anni).  La cassazione, che è la seconda volta che affronta questo "delitto d'onore" ha detto sì, per la seconda volta, allo sconto di pena. Devono essere concesse all'uomo le attenuanti del caso, e devono essere annullati i "no allo sconto" decretato tre volte dai giudici liguri.

Secondo la Corte di Appello di Genova, l'omicidio dell'amante escludeva lo stato d'ira, perchè la guardia giurata "si era mostrato perfettamente in grado di recuperare i propri freni inibitori nei confronti della moglie, 'graziando' la madre dei suoi figli, per cui il suo ritorno verso Grasso, ormai inerme ed inoffensivo, era condotta sorretta non già da una mente obnubilata dal furore, ma da una lucida e consapevole volontà omicida". In pratica hanno detto che, se fosse stato sotto l'effetto dell'ira, avrebbe dovuto fare una strage, non uccidere solo l'amante.

Questo verdetto fu annullato dalla Cassazione che affidò il caso alla Corte di Assise di Appello di Milano. Ma niente da fare: anche i magistrati milanesi - nel maggio 2010 - arrivarono alla conclusione che, se ha 'risparmiato' la moglie vuol dire che la guardia giurata non aveva perso "totalmente ogni controllo così da non capire più nulla e da agire spinto unicamente da impulsi aggressivi".

Ora la Cassazione - con il secondo annullamento con rinvio - avverte che le "corre l'obbligo" di "rimarcare" che "lo stato d'ira non può farsi coincidere con un così totale annichilimento del controllo di sé da privare chi agisce della consapevolezza delle proprie azioni: una condizione psichica di tal fatta eccede visibilmente i limiti della nozione di 'ira'".

Per ira - spiega la sentenza 36442 dei supremi giudici - deve certamente intendersi "un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi e idoneo a influire sulla capacità di autocontrollo della persona", ma che "per il suo manifestarsi non richiede necessariamente la perdita, sia pure momentanea, della coscienza del proprio agire". La clemenza per i delitti passionali - finita nel 1981 con l'abrogazione delle disposizioni sul delitto d'onore - sembra dunque resistere e attecchire ancora, con una certa pervicacia, in Cassazione.
(fonte ANSA)

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