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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Terrorismo a Roma: arrestato combattente virtuale, faceva propaganda jihadista sul web

L'uomo, insieme ad un'altra persona, frequentava l'area turistica del Vaticano

Faceva propaganda jihadista sul web il 37enne egiziano arrestato a Roma dai carabinieri del Ros. Secondo gli inquirenti è un ‘combattente virtuale’ dell’Isis, che faceva proseliti, rilanciando la propaganda dello Stato Islamico e le istruzioni per costruire bombe. Alle prime luci di sabato 18 giugno, personale del raggruppamento operativo speciale carabinieri ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa del gip del tribunale di Roma, su richiesta della procura della repubblica di Roma, a carico di un 37enne, cittadino egiziano, per i reati di partecipazione a un’associazione con finalità di terrorismo internazionale (lo Stato Islamico) e addestramento con finalità di terrorismo.

L’attività investigativa, coordinata dalla procura della repubblica di Roma, trae origine due anni or sono, dal particolare attivismo nel web da parte dell’indagato, il quale si prodigava nella consumazione e nel rilancio di materiale di propaganda jihadista a favore di una vasta comunità virtuale di utenti. Attività virtuale che rivestiva particolare allarme in quanto lo stesso risultava segnalato, in quei mesi, assieme ad altro co-indagato, come frequentatore dell’area turistica del Vaticano.

Grazie agli approfondimenti di tipo tradizionale - ovvero verifiche anagrafiche, attività informativa di settore, servizi di osservazione e pedinamento - affiancati da una mirata azione tecnico-informatica, è stato possibile ricostruire tutte le condotte dell’indagato, da cui è emerso come lo stesso fosse parte integrante del Daesh.

Nel dettaglio, si accertava il ruolo centrale ricoperto dal 37enne nel mettere in pratica le istruzioni che lo Stato Islamico impartisce ai suoi militanti, volte a evitare di essere individuati dalle forze di polizia dell’occidente, al tempo stesso garantendo la massima diffusività dei messaggi violenti propugnati dall’organizzazione.

Egli, infatti, nell’ambito della cosiddetta “jihad della penna”, svolgeva la mansione di combattente virtuale per conto dello Stato Islamico che, con la disseminazione di prodotti mediatici di natura apologetica, di video ad alta valenza evocativa e di aggiornamenti sui “successi” delle campagne di insorgenza nei territori di conflitto, può continuare a sopravvivere, cooptando sotto la propria bandiera ideologica il maggior numero di aderenti, i quali sono chiamati a colpire nei territori di origine, anche in occidente. 

Tale strategia ha la duplice finalità di combattere i miscredenti (coloro che non professano la religione musulmana) e gli apostati (coloro che non professano il salafismo-jihadista, quindi compresi i regimi del mondo musulmano, giudicati corrotti) e di vincere la contesa globale contro il proprio rivale di maggiore consistenza, vale a dire al-Qaeda.

È attraverso questa chiave interpretativa che va letta una delle modalità di azione adottate dall’indagato, il quale, partecipando a un circuito virtuale composto da meri simpatizzanti, membri effettivi e anche veri e propri combattenti del Daesh, denominato “Casa Mediatica Roma” (appellativo altamente evocativo, che - nel gergo jihadista - simboleggia l’obiettivo ultimo di questa visione distorta della religione musulmana, vale a dire quello di conquistare la culla della cristianità e così costituire l’unica comunità dei veri fedeli sotto la bandiera nera del Califfato, denominata “Umma”) prendeva parte alle cosiddette “campagne di aggressione mediatica”, concepite da un nucleo di dirigenti di Stato Islamico, incaricato di individuare gli obiettivi delle offensive virtuali e i mezzi per attuarle. 

In questo modo, le pagine social media maggiormente esposte al pubblico venivano inondate di messaggi violenti e di propaganda jihadista, con la finalità da un lato di esaltare i sostenitori del jihad e dall’altro di attrarre la platea di coloro che per la prima volta si affacciano a questa errata interpretazione dell’lslam.

Inoltre, le attività investigative hanno consentito di dimostrare come l’indagato, grazie all’accesso che gli era garantito a canali Telegram gestiti dagli organismi mediatici ufficiali di Stato Islamico, ha più volte condiviso con altri utenti documenti di vero e proprio addestramento militare, attraverso i quali ha impartito istruzioni sul maneggio delle armi da fuoco, sulla fabbricazione di ordigni esplosivi improvvisati e sulle procedure operative e tattiche per la messa in atto di attacchi terroristici.
 

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