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Cronaca Tor Bella Monaca / Via dell'Archeologia

Arresti per spaccio a Tor Bella Monaca, l'aggravante del metodo mafioso ed i contatti con gli Spada e la mafia nigeriana

Cinquantuno le persone finite in manette. Il Gip: "Condotte che costituiscono diretta espressione del metodo mafioso"

"Voi vi fermate al parcheggio, vado su, io lo chiamo, gli dico "ahò viè con me che c'ho da vende tre o quattro pezzi di roba" e come arriva lo sderenate....io voglio vedè i soldi della cocaina". Così uno dei tre fratelli a capo dell'organizzazione dedita allo spaccio sgominata dai carabinieri a Tor Bella Monaca aveva risolto una controversia personale, dopo che un uomo, un cittadino marocchino, si era "permesso" di "smerciare sostanze stupefacenti nei pressi della sua piazza di spaccio". E' quanto emerge nell'ordinanza di custodia cautelare con la quale il Gip Zsuzsa Mendola ha disposto l'arresto di 51 persone, 44 in carcere e 7 ai domiciliari nel corso del maxi blitz attuato all'alba di martedi dai carabinieri del Comando Provinciale di Roma nel popoloso e popolare quartiere della periferia est della Capitale.

I contatti con gli altri gruppi criminali 

Ordinanza nella quale emerge chiaramente come l'organizzazione criminale, in grado di fatturare 600mila euro mensili, operasse con l'aggravante del metodo mafioso. Un sodalizio che collaborava a stretto giro anche con altre famiglie ed organizzazioni criminali di spessore, come un esponente della famiglia degli Spada di Ostia ed un membro della mafia nigeriana. C'erano infatti anche loro nella lista dei fornitori della banda di spacciatori sgominata a Tor Bella Monaca. Al vertice, stando ai risultati di mesi di indagini, il 35enne David Longo, affiancato dai due fratelli, Daniel e Alessandro: erano loro a gestire l’organizzazione attiva in via dell’Archeologia, tra i civici 90 e 106, il “Ferro di Cavallo” in cui le dosi potevano essere comprate 24 ore al giorno.

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51 arresti a Tor Bella Monaca 

Secondo quanto emerge dalle carte, la piazza di spaccio colpita martedì mattina si differenzia dalle altre piazze operanti nell'area per la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso in relazione ad alcuni delitti contestati ai vertici. L'aggravante mette in luce la pericolosità del sodalizio, munito peraltro di una larga disponibilità di armi da fuoco. Una organizzazione criminale che ha dato prova di una grande capacità di sopperire ai numerosi arresti effettuati dai Carabinieri del Gruppo di Frascati, sempre pronti a rimpiazzare i pusher che sono stati arrestati e che, in ogni caso, scontata la loro pena spesso tornavano a spacciare o venivano reimpiegati in altri ruoli. 

L'aggravante del metodo mafioso 

Secondo quanto emerge dalle carte con le quali il Gip ha disposto le ordinanze di custodia cautelare: "La violenza degli associati è uno dei punti caratterizzanti dell'associazione". Una pericolosità ben espressa nelle parole del Gip: "Non è in proposito da trascurare la rilevantissima circostanza che le pretese estorsive così come i sequestri di persona sono stati avanzate secondo uno schema di azione ampiamente noto e collaudato. Questa situazione appare chiaramente sintomatica del fatto che gli indagati non hanno esitato ad utilizzare la forza intimidatrice tipica del metodo mafioso, con modalità eclatanti ed evocative dell'appartenenza da un gruppo criminale organizzato tale da incutere nelle vittime una condizione di assoggettamento. Trattasi di condotte che costituiscono diretta espressione del metodo mafioso, essendo connotate da un evidente utilizzo della forza di intimidazione propria degli appartenenti alle associazioni di cui all'art. 416 bis C.P. e che si inseriscono in un contesto del tutto peculiare ed estraneo alle logiche della criminalità  comune, di assoluta omertà, in considerazione della pericolosità  del gruppo riconducibile a Longo Davide ed ai suoi consociati".

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Metodo mafioso che il Gip contesta anche in relazione all'esigenza di David Longo, di "riaffermare con un atto di forza la propria supremazia sul territorio in danno" di un altro pregiudicato, "il quale si era permesso di mandare delle persone armate nella sua piazza di spaccio, invadendo il suo territorio in assenza di un suo consenso". Come riferito poi da un collaboratore, "David ha deciso di sparare perchè si è risentito per il fatto che" l'uomo "avesse inviato delle persone armate sotto la sua abitazione dove si trovavano anche i suoi figli". 

L'ostentazione del capo dell'organizzazione criminale 

Significativo sul punto quanto segnalato dal pubblico ministero circa "l'ostentazione evidente operata" da uno dei capi "del suo potere e prestigio criminale nel quartiere Tor Bella Monaca anche in considerazione delle sue elevate potenzialità economiche attraverso l'utilizzo abituale di vetture, orologi e abbigliamento di lusso". D'altronde sotto il profilo dell'elemento soggettivo, "deve evidenziarsi come i fatti in contestazione abbiano comprovato i rapporti di conoscenza tra gli indagati ed il capo dell'organzzaione", "le cui pretese creditorie sono state sempre evocate alla vittima, oltre che reiterare personalmente dal medesimo indagato". "Può in conclusioine - scrive ancora il Gip - affermarsi dell'esistenza dell'aggravante di cui all'art . 416 bis C.P. in tutte le ipotesi in cui è stata contestata nei rispettivi capi d'imputazione". 

Il rischio di condotte recidive 

"La radicata rete di collegamenti criminali in cui sono inseriti tutti gli indagati lascia ben intendere, a loro carico, la sussistenza di un concreto rischio di condotte recidivanti, tenuto conto della portata dell'attività di narcotraffico ascrivibile all'associazione di cui sono parte, avente ad oggetto ingenti quantitativi di stupefacente", si legge ancora nell'ordinanza. Il Giudice per le Indagini Prelimiari sottolinea infine anche "le caratteristiche di alta professionalità" come dimostra il fatto che "le condotte accertate si sviluppano secondo uno schema tipico e con modalità ben precise, ben collaudate, idonee a ostacolare qualsivoglia attività di contrasto, a partire dal linguaggio criptico, per arrivare alle modalità di approvvigionamento e alle modalità di custodia e confezionamento della sostanza stupefacente in diversa qualità e tipologia".

L'inchiesta ha portato all'emissione di 51 misure cautelari, 44 in carcere e 7 ai domiciliari, eseguite al termine delle indagini svolte  dal Nucleo Investigativo di Frascati e coordinate dal procuratore aggiunto della Dda Ilaria Calò e dal pm Simona Marazza. A 37 degli indagati viene contestato il reato associativo.  

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