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Cronaca

L'antica tradizione dei "cravattari": così padre e figlio estorcevano denaro a imprenditori

In un caso la vittima usurata, che aveva oggettive difficoltà a reperire il denaro, è stata condotta con la forza in un'autorimessa dove è stata pesantemente minacciata

Padre e figlio "cravattari". Una "antica tradizione", da cui appunto prende il nome l'operazione della Guardia di Finanza, che ha scoperto un giro d'affari importante. I due, insieme a diversi complici tra cui un poliziotto impegnato nella riscossione dei crediti, erano diventati l'incubo di diversi imprenditori romani. 

Oggi i Finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di Roma hanno così eseguito nella Capitale un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma nei confronti di sei persone, cinque delle quali tradotte in carcere e una destinataria dell'obbligo di firma. Le attività odierne sono il risultato delle indagini condotte su impulso del 'Gruppo Reati contro il Patrimonio' della Procura della Repubblica di Roma che ha delegato specifici approfondimenti su una rilevantissima operazione di cambio valuta lire/euro ad alto rischio di riciclaggio che si sarebbe dovuta perfezionare verso la fine del 2011, poi realizzatasi solo in parte.

Nel complesso sono sedici gli indagati nell’operazione denominata 'Antica Tradizione', tutti ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di "usura, estorsione e intestazione fittizia di beni". Perquisizioni nelle province di Roma, Varese e Sassari, seguite dal sequestro preventivo di immobili, automezzi e conti correnti per un valore di oltre un milione di euro. Dallo sviluppo degli elementi investigativi è emerso il ruolo di due soggetti, padre e figlio, i cui profili si sono subito rivelati interessanti, poiché "erano in stretti rapporti con soggetti di spicco della criminalità romana".

I reati contestati nell’ordinanza eseguita oggi sono frutto della costituzione di un radicato sistema di concessione di prestiti di denaro a tassi di interesse usurari nella Capitale. Sfruttando l’onda lunga della crisi, padre e figlio sono divenuti punto di riferimento per alcuni imprenditori in difficoltà finanziaria per elargire crediti e prestiti facili, pretendendo un tasso di interesse mensile pari al 10%.

Per gestire i loro affari illeciti, i due principali indagati si sono avvalsi anche della collaborazione di altri soggetti di Roma, tutti arrestati. Tra loro anche un agente di Polizia già coinvolto in passato in vicende giudiziarie, che operavano come "riscossori" per conto loro, spesso ricorrendo a minacce per convincere i debitori a pagare i debiti usurati.

Purtroppo non è mancato il ricorso alla coazione fisica: in un caso la vittima usurata, che aveva oggettive difficoltà a reperire il denaro per pagare la rata del credito concesso illecitamente, è stata condotta con la forza in un'autorimessa dove è stata pesantemente minacciata di "conseguenze peggiori" se non avesse adempiuto al pagamento, con la promessa che, in caso contrario sarebbero ricorsi a non meglio specificate "amicizie mafiose".

Gli approfondimenti investigativi, operati tramite attività di intercettazione e di analisi patrimoniale dei beni e dei conti bancari degli indagati, hanno evidenziato che i componenti del nucleo familiare conducono un elevato tenore di vita e sono proprietari, anche per il tramite di beni formalmente intestati a prestanome, di un patrimonio immobiliare e mobiliare di valore stimato per oltre un milione di euro, notevolmente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati al fisco (il padre ha dichiarato, fino al 2015, redditi per 4.800 euro all’anno e il figlio risulta dipendente, per gli ultimi due anni, di un’impresa di pulizie).

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