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Cronaca

Strage Ardea, nella mente di Andrea Pignani: il profilo del killer tracciato dallo psichiatra forense

Dalla pistola usata per uccidere all'isolamento auto imposto in mansarda sino ai presunti problemi psichici: l'intervista allo psichiatra forense Stefano Ferracuti

Isolato, solo, senza amici né lavoro: è la scarna descrizione che la madre di Andrea Pignani, il killer di Ardea, ha fatto di quel figlio che domenica è uscito di casa armato di pistola e che in pochi minuti ha ucciso il pensionato 74enne Salvatore Ranieri e i due fratellini di 5 e 10 anni David e Daniel Fusinato, colpiti una volta ciascuno.

Le indagini sulla strage di Ardea vanno avanti ormai da 72 ore, i nodi da sciogliere e i punti oscuri restano molti, ma al centro di tutto c’è lui: Pignani, 34 anni, ingegnere informatico, una vita trascorsa circondato solo da pc e monitor nella mansarda della casa che condivideva con la madre a Colle Romito. E la domanda che si presenta più di frequente è “Perché?”. Che cosa lo ha spinto a puntare una pistola contro un anziano e due bambini e a premere il grilletto, rivolgendo poi l’arma contro di sé?

Strage di Ardea, Andrea Pignani e i problemi psichici

Nelle scorse ore in molti hanno provato a dare una risposta, in primis gli inquirenti che stanno indagando sul caso e che stanno cercando di ricostruire il passato di Pignani. Che, pur avendo manifestato segni di squilibrio in passato - oltre ai litigi e discussioni con i vicini per questioni banali, aveva anche minacciato la madre con un coltello - non era mai stato in cura né era stato preso in carico da servizi sociali o dal Dipartimento di Salute Mentale.

A maggio 2020, dopo le minacce alla madre, era effettivamente stato portato in ospedale “in stato di agitazione” ma era stato dimesso il giorno dopo e affidato al padre, morto qualche mese dopo. Non si è mai trattato di tso e non ci sarebbero stati, in seguito, interventi di accertamento o terapeutici. Il disagio psichico e il malessere di Pignani erano, insomma, invisibili per chi avrebbe potuto farsene carico, tollerati e forse incompresi da chi li viveva quotidianamente.

“Pignani non era un paziente conosciuto ai servizi psichiatrici, non era una persona ufficialmente classificata come seguita dal dipartimento di salute mentale - spiega il professor Stefano Ferracuti, ordinario di Criminologia all’Università La Sapienza di Roma, psicologo clinico e psichiatra - Da quello che ho potuto accertare, appartiene alla categoria dei 'mass murderer': ha ucciso tre persone, ma se non fosse stato interrotto avrebbe potuto ucciderne anche di più”.

Ferracuti è intervenuto come perito per moltissimi casi di omicidio, ed è considerato uno dei maggiori esperti in pericolosità sociale. Di mass murderer, però, nel corso della sua lunga carriera ne ha visti pochi, e per motivi ben precisi.

Strage di Ardea, i nodi da sciogliere sull'arma del killer

“I mass murderer sono killer che uccidono più persone in un limitato periodo di tempo, e solitamente agiscono con armi da fuoco. In America, dove le armi da fuoco sono molto diffuse, soprattutto le automatiche e le semi automatiche, questo tipo di stragi si verificano con più frequenza. In Italia invece il possesso di armi è strettamente regolamentato, anche se in questo caso ci sono dei punti poco chiari”.

Il riferimento è alla pistola usata da Pignani per la strage, la stessa mostrata in diverse occasioni ai vicini durante liti e discussioni. La pistola è la Beretta del padre del 34enne, ex guardia giurata che alla morte dell’uomo non era stata dichiarata alle forze dell’ordine. La madre di Pignani ha riferito ai carabinieri di non averla più trovata, e il sospetto è che il killer l’avesse presa e nascosta. Gli inquirenti si chiedono però se la madre sapesse che il figlio aveva la pistola, e in caso negativo il motivo per cui non ne ha denunciato la scomparsa.

“Solitamente i mass murderer, dopo avere ucciso, si uccidono - prosegue Ferracuti - Per questo motivo non sappiamo ancora molto di questa tipologia di assassini, la poca ricerca che c’è ci dice però che la maggior parte di queste persone ha problemi psichiatrici, e che spesso interviene qualcosa a scatenarli. Motivi che potrebbero sembrare banali, ma che per queste persone diventano inneschi: una lite, una rottura con la fidanzata, un lutto”.

Il padre di Pignani è morto nel novembre del 2020, e la madre ha riferito che il figlio trascorreva moltissimo tempo da solo in mansarda, senza avere contatti con il mondo esterno. Non è inoltre escluso che assumesse sostanze, ipotesi su cui faranno chiarezza gli esami tossicologici.

Isolamento sociale e frustrazione alla base delle stragi

“Dobbiamo aspettare che l’autopsia ci dica se aveva sostanze in corpo, ed eventualmente di che genere - conferma Ferracuti - Il mix di droghe e disturbi psichiatrici ha un ruolo fondamentale. Di base comunque si può dire che c’è spesso una concomitanza di fattori: isolamento sociale, un grande livello di frustrazione, un disturbo mentale e fattori scatenanti. A questo si aggiunge la disponibilità dell’arma: una pistola per queste persone diventa molto più letale di un coltello”.

C’è poi da approfondire il contesto familiare e sociale in cui la strage è maturata: “In Italia, soprattutto negli ultimi anni, puoi avere disturbi psichiatrici ed essere solo e abbandonato - conferma Ferracuti - La madre in questo caso ha fatto quello che la tradizione culturale vuole che sia: ha tollerato e giustificato, forse non ha compreso sino in fondo. Dal punto di vista delle cure, a Roma, soprattutto in alcune zone, ci sono persone gravissime dal punto di vista clinico che sono assolutamente sconosciute al dipartimento di salute mentale. Sono zone in cui si può vivere in totale e completa emarginazione e isolamento, e la malattia mentale prospera soprattutto in situazione di degrado urbano per una serie di fattori sociali  come la disgregazione dei rapporti, l’uso di droghe, l’alcolismo, inadeguato accudimento dei bambini”.

La pandemia di coronavirus e il lockdown possono avere influito, in un caso come questo e in altri casi di disturbo psichiatrico? “Non lo possiamo ancora dire perché non abbiamo ancora dati sul lungo termine per fare paragoni statistici - conclude Ferracuti - Sicuramente possiamo dire che il lockdown e le conseguenze del covid provocano disagio psichico, ma che questo si possa mettere in relazione con fenomeni di violenza in aumento è troppo presto per dirlo”.

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