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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca Africano / Via di Novella

Albero crolla su auto, il padre della ragazza nella vettura: "Criminali, oggi potevo essere al funerale di mia figlia"

Lo sfogo di Luca Laurenti, papà della 19enne che si è vista una pianta crollare sulla sua microcar in via Marchetti

"Maledetti criminali, io oggi potevo essere al funerale di mia figlia". Parole dure, pensieri di un padre che ha visto l'auto della propria figlia di appena 19 anni colpita da un albero che le è caduto addosso. Paura, apprensione trasferiti in un post di denuncia che solo per una casualità non si è trasformato in tragedia. A raccontare a RomaToday la paura vissuta da lui e dalla moglie dopo che una pianta ha travolto la microcar di sua figlia è Luca Laurenti, padre di Giovanna, andato in soccorso alla figlia che si trovava alla guida della macchina colpita da un albero su via Filippo Marchetti, a Villa Chigi, in un tardo pomeriggio di inizio autunno. 

"La cosa che mi spaventa di più - racconta il 57enne dirigente al Policlinico Umberto I - è il lassismo con la quale oramai queste situazioni di degrado ed abbandono sono all'ordine del giorno in una città che negli ultimi quattro anni e mezzo ha toccato livelli di incuria mai vissuti. Non sono solo gli alberi, l'immondizia, i trasporti. Siamo oramai rassegnati al fatto che quando piove possiamo non tornare a casa per una buca, per un allagamento o, come nel caso di mia figlia per un albero che ci può crollare addosso". 

"Giovanna sta bene per fortuna, adesso il problema potrebbe diventare psicologico - racconta ancora quasi incredulo Luca Laurenti - che in un lungo post reso pubblico sulla propria pagina Facebook racconta la paura e lo stato d'animo vissuti assieme alla moglie ed alla figlia dopo aver ricevuto la chiamata della moglie contattata telefonicamente dalla 19enne appena travolta da un albero. "Si è salvata perchè si trovava dal lato opposto a quello del crollo mentre parcheggiava la sua vettura. Sarebbe bastaa una frazione di secondo ed adesso staremo qui a commentare una tragedia".

"Sono un cittadino romano come tanti altri, ma voglio che si sappia quanto oramai questa città sia allo sbando. Non è più possibile vivere in queste condizioni. Adesso basta". 

La lettera su facebook 

MALEDETTI CRIMINALI

Sto tornando a casa, a piedi.
C'è vento forte, cammino tra turbinii vorticosi di immondizia di ogni genere e alberi che ondeghiano paurosamente.
Squilla il cellulare.
Mia moglie.
Ha una voce strana, roca.
Parla con una calma insolita.
Capisco immediatamente che c'è qualcosa che non va. 
"Luca, ha chiamato nostra figlia...".
Un brivido violento sulla schiena, le gambe sembrano cedere.
"Cosa..."
"Dove sei?"
"Sto a via Livorno"
Non è vero. Sto percorrendo viale XXI Aprile, ma sono confuso, non riesco a essere lucido.
Un groppo alla gola mi impedisce di respirare bene. 
"Le è caduto un albero sulla macchina. Lei era dentro. Sta bene. Ma è agitata e scossa. È in via Marchetti. Vengo a prenderti..."
"No, sono quasi arrivato, aspettami". 
Comincio a correre, mancano pochi metri e sono arrivato.
Salgo i gradini tre a tre, entro in casa.
Mia moglie è in ingresso con le chiavi in mano.
Ha il volto stravolto, mi guarda come se cercasse aiuto.
Tra le dita serra le chiavi della macchina. 
Scendiamo.
Entriamo in auto.
Partiamo.
Attraversiamo via Nomentana, imbocchiamo via Nemorense.
Il traffico è paralizzato.
Alberi caduti e rami ogni poco.
In via di Novella è l'apoteosi della confusione.
Un enorme albero è piombato su alcune auto in sosta.
Siamo bloccati.
Mia moglie suona il clacson a più non posso.
Urla disperata, come se la sua voce potesse far sparire la fila di auto che ci blocca. 
Io chiamo ogni poco Giovanna.
La sua voce è lontana, debole.
Continuo a dirle che stiamo arrivando, lei mi dice di stare calmo.
Io le dico di stare calma.
Ma io non sono calmo.
Lo sarò quando la vedrò.
Finalmente arriviamo a viale Somalia, giriamo a sinistra.
Via Marchetti.
L'albero caduto  è poco più avanti, giace di traverso sulla strada.
La piccola minicar bianca di mia figlia è in mezzo ai rami. 
Sembra un piccolo insetto ghermito da un ragno gigante.
Lasciamo la nostra auto proprio davanti al tronco spezzato, accanto a un auto sfondata dal peso dell'albero.
La cerco con lo sguardo, non riesco a vederla, c'è tanta gente vociante.
Poi finalmente la trovo. 
È proprio davanti a me, pallida, circondata da persone sconosciute che la toccano, le parlano, la confortano.
Ci vede. 
Ci viene incontro mentre corriamo da lei.
È un abbraccio liberatorio.
Ora può piangere, tra le nostre braccia e le nostre lacrime nascoste. 
Caterina, la sua amica del cuore, è scossa più di lei.
Era seduta accanto a lei, si è vista l'albero crollare loro addosso.
Ci racconta con ampi gesti che Giovanna ha urlato e ha d'istinto ingranato la retromarcia salvando entrambe dall'essere schiacciate. 
Quei venti centimetri che è riuscita a percorrere all'indietro hanno salvato loro la vita e quella di noi genitori. 
Poi sono uscite dall'auto.
Caterina ha scavalcato i rami, Giovanna si è tuffata sul marciapiede ed è svenuta tra le braccia di Luca, un infermiere di pronto soccorso che ha assistito alla scena ed è uscito di corsa per soccorrere eventuali feriti.
Un miracolo anche questo.
Giovanna non ricorda nulla dei momenti successivi al crollo.
Si è risvegliata attorniata da due infermieri, Luca e la moglie, e due medici del palazzo vicino, che l'anno aiutata a riprendersi.
Ascoltiamo i racconti delle ragazze e le testimonianze dei tanti accorsi.
Giovanna abbraccia ora me, ora la madre.
È desiderosa di coccole, improvvisamente piccola e indifesa.
Mi fa una tenerezza infinita. 
Intanto si fa buio, ogni tanto piove, il vento non accenna a diminuire, il freddo è incredibilmente pungente.
Il giovane avvocato, proprietario dell'auto sfondata, ha chiamato la polizia municipale.
Ci vorranno due ore prima che arrivino due vigilesse e un'auto della finanza di supporto.
Nel frattempo, un amico di mia figlia porta felpe per tutti, una signora si offre per invitarci a casa sua a mangiare qualcosa, altri ci chiedono continuamente se abbiamo bisogno d'aiuto.
La strada si anima di figure sconosciute desiderose di rendersi utili; è una cosa che mi commuove enormemente ancora adesso.
Poi i verbali, le testimonianze, il resoconto dei danni alle auto.
Alle 21,30 tutto finisce.
Sono passate tre ore e mezza.
Io riporto l'auto di mia figlia a casa, mia moglie e Giovanna tornano con l'altra.
L'auto è tutta storta, avverto rumori sinistri, ma riesco ad arrivare sano e salvo, perfino prima di loro.
Ci ritroviamo tutti intorno al tavolo della cucina mentre la televisione mostra le immagini impietose degli alberi caduti per il vento.
Una catastrofe annunciata che pesa gravemente sulla nostra amministrazione, incapace di garantire l'incolumità dei cittadini.
Quattro anni e mezzo di selfie e propaganda.
Quattro anni e mezzo in cui si sarebbero dovuti affrontare temi come quello del verde, dei rifiuti, dei trasporti e invece si è pensato ai ciclamini della Colombo o alle macchine mangia-plastica.
Quattro anni e mezzo di nulla, fumo, idiozie sbandierate sui social per ottenere consensi.
Quattro anni e mezzo di prese per i fondelli, di accuse a chi c'era prima. 
Questa gente è pericolosa.
Questa gente è incapace.
Va cacciata.
Io oggi potevo essere al funerale di mia figlia.
Invece le posso parlare ancora, posso accompagnarla lungo il percorso della sua vita, aspettarla la sera quando torna, abbracciarla quando è felice o quando è triste, posso festeggiare le sue conquiste, gioire della sua voglia di vivere. 
E così i genitori di Caterina, la sua amica.
Siamo stati miracolati.
Ma questo non cambia di una virgola la triste realtà.
Siamo in mano a criminali.
Insulsi, maledetti, criminali.
Vi combatteró con quanta forza ho in corpo.
Non vi perdonerò mai.
MAI
 

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