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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Smantellò racket della prostituzione, Adelina morta suicida per disperazione

Adelina Sejdini, 47 anni, si è gettata da Ponte Garibaldi sabato sera. "Da apolide a fantasma, è stata lasciata sola"

Rapita a soli 15 anni, stuprata, picchiata e poi costretta ad attraversare l’Adriatico in gommone per prostituirsi in Italia, lacerata dalle maglie taglienti del racket della prostituzione. Però lei, Alma “Adelina” Sejdini, alla fine si era ribellata e quegli aguzzini li aveva fatti arrestare, per lei e per tutte le altre prima e dopo di lei, sgominando una banda di sfruttatori albanesi che l’avevano costretta a vendere il suo corpo per soldi picchiandola e brutalizzandola. Amava l’Italia, e il suo vero, grande desiderio era farne parte a pieno titolo ottenendo la cittadinanza. Sul suo passaporto però sono sempre rimaste quelle X che le toglievano l'identità e la classificavano come un’apolide senza terra e senza casa. Sino a che non è stata più neanche quello.

La battaglia contro la mafia albanese e lo status di apolide

La vita della guerriera Adelina, arrivata in Italia nel 1996, è finita a 47 anni a Ponte Garibaldi, sabato sera: si è gettata nel vuoto, portando con sé tutte le speranze infrante, il coraggio e la fierezza con cui aveva sconfitto chi le «tagliò una gamba con le forbici e le cosparse le ferite di sale per farmi più male», chi la considerava neppure una schiava, ma una cosa da gestire per ricavo e per diletto. Lo stesso coraggio con cui aveva iniziato la battaglia contro il cancro al seno, gli infiniti cicli di chemioterapia e gli interventi chirurgici, con cui cercava senza sosta di vedersi riconosciuta quella cittadinanza che le avrebbe consentito di iniziare per davvero una vita in Italia, quel Paese che dal suo arrivo aveva aiutato e supportato nella lotta alla mafia albanese e alla violenza contro le donne.

L’ultimo colpo è arrivato quando, rinnovando il permesso di soggiorno a Pavia, si era vista offrire la cittadinanza albanese. Un Paese dove mai sarebbe mai tornata, soprattutto dopo essersi messa in pericolo consentendo l’arresto di 40 persone e la denuncia di altre 80. Ad aiutarla i carabinieri, che lei chiamava “i suoi angeli custodi”, che mai l’avevano abbandonata e che la chiamavano affettuosamente "Adelina 112". Il suo contributo le aveva fruttato un prolungamento del permesso di soggiorno per motivi straordinari, ma la cittadinanza italiana non è mai arrivata. Rifiutata quella albanese, le era stato tolto anche lo status di apolide, con il rischio di dover rinunciare alle (poche) agevolazioni statali che aveva ottenuto e alla possibilità di fare domanda per una casa popolare.

L'ultima sera di Adelina

Il 28 ottobre scorso, in un estremo gesto di protesta, Adelina da Pavia (dove abitava in precarie condizioni) si era presentata al Viminale e si era data fuoco: ricoverata in ospedale, era stata dimessa, poi il 5 novembre era tornata nuovamente al Viminale per una protesta solitaria. In una diretta Facebook aveva riferito che in quell'occasione era stata bloccata da alcuni agenti di polizia, e che per lei era stato emesso un foglio di via da Roma per un anno. Disperata, sotto la pioggia battente di sabato si è spenta anche l’ultima fiammella di speranza: è arrivata a Ponte Garibaldi, ha guardato il Tevere scorrere e poi si è gettata di sotto. Un suicidio dettato dalla depressione, scrivono gli inquirenti, che potrebbero comunque decidere di aprire un fascicolo per approfondire le circostanze della morte. Gli amici intanto hanno scritto al presidente Mattarella per chiedere che ad Adelina venga riconosciuta la cittadinanza italiana, seppur postuma. E le associazioni con cui era entrata in contatto nel corso della sua vita chiedono "giustizia", e di sapere cosa sia effettivamente accaduto sabato sera.

L'associazione Vittime di Violenza: "Era un fantasma, è stata lasciata sola"

“Aiutava le schiave del sesso. Si è ammalata di cancro. In Albania, la malavita l’avrebbe ammazzata. In Italia, non aveva una casa - sono le parole degli operatori dell’associazione Vittime di Violenza - IO NO - Negli ultimi tempi era ospite di una parrocchia a Pavia. Faceva la chemio. Neanche i soldi per il taxi, per andare e tornare dall’ospedale. Non voleva nulla, Adelina, solo la cittadinanza: la meritava, aveva avuto un coraggio da leone. È stata lasciata sola. Ha rifiutato la cittadinanza albanese, era apolide. L’Italia non le ha riconosciuto la cittadinanza, le ha tolto lo status di apolide. È diventata un fantasma. Non aveva più diritti. Dopo essersi data fuoco davanti al Viminale, le è stato notificato il foglio di via da Roma. L’unica soluzione è stata gettarsi da Ponte Garibaldi e schiantarsi sulla banchina di cemento. Aveva 47 anni. Noi non ci fermeremo”.

Sulla morte di Adelina è intervenuta anche Valentina Grippo, capogruppo in Regione del Gruppo Misto e coordinatrice regionale di Azione, che ha annunciato l'intenzione di farsi promotrice della creazione di una rete stabile tra i centri anti-violenza del Lazio che lavorano sul tema delle donne vittime di tratta. 

"Chi soffre, chi ha vissuto traumi indicibili, non deve mai più essere lasciato solo - ha detto Grippo - dovremmo svegliarci tutti un po' sconvolti dalla storia di Adelina, per capire cosa possiamo fare, attivamente, per aiutare chi rimane indietro: le istituzioni, certamente, ma ogni singolo cittadino. Da parte mia, mi farò promotrice di un lavoro di rete tra i centri anti-violenza del Lazio che lavorano specificamente sul tema delle donne vittime di tratta. Serve l'aiuto di tutti, ora più che mai".

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