L'enclave della Ndrangheta a Roma, gli affari della famiglia calabrese che gestiva lo spaccio intorno al Raccordo
I carabinieri hanno ricostruito un giro d'affari gestito da Pasquale Vitalone, nome noto vicino alla 'ndrina degli Alvaro, che aveva la base a Sacrofano, come Carminati. 33 le persone indagate
Un enclave della 'Ndrangheta a Roma. Un giro d'affari dello spaccio che partiva dalla provincia e costeggiava gran parte del Raccordo Anulare, da Casalotti alla Borghesiana. A gestirlo, il capo del sodalizio: Pasquale Vitalone, un uomo di 42 anni, il cui nome è stato spesso accostato - perché in organico - alla 'ndrina degli Alvaro di Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria, ma stabilito ormai da tempo a Sacrofano.
Lo stesso comune della provincia di Roma, già balzato sui quotidiani perché base di Massimo Carminati. Vitalone, però, a differenza del 'Nero', dirigeva da quel comune le sue attività avvalendosi anche del suo enclave, la famiglia. A Sacrofano, infatti, il 42enne aveva una maxi villa doveva viveva con la moglie, i cinque figli e una serie di cugini e nipoti.
Gli affari di famiglia del clan della 'Ndrangheta a Roma
Questo perché gli affari, appunto, erano gestiti in casa: secondo Vitalone, infatti, i familiari erano considerati più affidabili e riservati rispetto ad altri componenti del sodalizio. Venivano incaricati per le operazioni più delicate: reperire canali di approvvigionamento, curare i rapporti con gli altri associati, trasferire il denaro contante, attuare per conto del capo azioni intimidatorie, garantire la riservatezza delle comunicazioni tra gli accoliti, cercando di eludere le eventuali captazioni delle Forze dell'Ordine.
E' così che, grazie a questa tela ramificata, il gruppo dei Vitalone - in un anno - si è reso protagonista dello spaccio di cocaina, marijuana e hashish che avvolgeva l'area nord-ovest di Roma: Casal del Marmo, Prima Porta, Borghesiana e nei comuni di Sacrofano, Riano, Capena, Morlupo e Cerveteri. Un giro della droga ricostruito dai carabinieri del Comando Provinciale di Roma, coadiuvati dai comandi dell'Arma territorialmente competenti, che oggi hanno eseguito l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Roma - su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia - nei confronti di 33 persone indagate, a vario titolo, di "associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto abusivo di armi".
Il bar come ufficio, l'autofficina e il solarium come base dello spaccio
Vitalone, secondo quanto emerso dalle indagini sviluppate tra il 2017 e il 2018, gestiva i suoi affari da un bar in via Casal del Marmo. Qui il capo famiglia organizzava gli appuntamenti, smistava le direttive e organizzava la compravendita della droga.
Stupefacente che era ben diviso. Una parte - grossa - in un'autofficina a Sacrofano, utilizzata sia per la vendita al dettaglio delle sostanze stupefacenti che per lo svolgimento degli incontri tra i sodali. Un'altra parte in un solarium, utilizzato come base logistica dai responsabili della piazza di spaccio della zona Borghesiana. E' qui che, come se fosse un supermercato della droga, venivano a comprare lo 'sballo' i pusher di Roma est per poi rivenderlo nelle proprie rispettive piazze.
Dove veniva acquistata la droga
I canali di Vitalone e della sua famiglia erano diversi. Le indagini lo raccontano. In una occasione, infatti, grazie alla mediazione due broker italiani, una donna 65enne residente ad Orbetello e un uomo della provincia di Venezia, un ex della Mala del Brenta, aveva negoziato l'acquisto di una partita di 20 chili di cocaina proveniente dalla Colombia.
Un'altra volta, invece, è stata certificata la compravendita di una partita di 12 chili di cocaina al prezzo di 312 mila euro. Una operazione gestita per conto di Vitalone da un bulgaro, il quale era stato più volte in Spagna per gestire le trattative con un gruppo di colombiani che avrebbero dovuto far arrivare lo stupefacente in Italia direttamente dal Sudamerica;
Ma non solo la droga dei Narcos era nel carnet della famiglia calabrese. Vitalone ha gestito anche la cessione di 10 chili di marijuana, fornita dal nipote di 'Ntoni Gambazza', ritenuto il capo della cosca calabrese dei Pelle di San Luca, e la trattativa per l'acquisto di 1.5 chili di hashish da cedere ad acquirenti già individuati nella zona di Roma nord. Elementi, questi, che secondo l'accusa hanno raccontato la ramificazione del 42enne.
La pericolosità del gruppo
Che li gruppo fosse pericolo lo raccontano proprio i riscontri dei carabinieri. In una fase di indagine, infatti, furono sequestrati una pistola revolver Franchi 38 special, un fucile mitragliatore Sren Mk calibro 9 con due caricatori e 66 proiettili calibro 9 parabellum.
Ma non solo. I fatti raccontano anche di una "estorsione aggravata dal metodo mafioso" commessa nei confronti di un trafficante calabrese, "colpevole" di una mancata fornitura di droga per la quale era stata versata la somma di 116.500 euro. Dopo svariate minacce di morte anche nei riguardi della moglie e di un violento pestaggio ai danni di un suo uomo di fiducia, il trafficante è stato costretto a restituire parte del denaro già consegnato.
In un'altra circostanza, è stato invece documentato il tentativo di rilevare le quote societarie di una palestra a Riano, in provincia di Roma. Un'attività ritenuta utile a riciclare il denaro della 'Ndrangheta. Per piegare le volontà dei tre soci che non intendevano cedere le proprie quote, il gruppo dei Vitalone prima aveva incendiato l'auto del primo socio, poi ha esploso un colpo d'arma da fuoco contro l'auto del secondo e, successivamente, hanno incendiato il cancello dell'abitazione e l'auto del terzo.