rotate-mobile

RomaToday

Redazione

Bisogna sprecare meno, il 2013 deve essere l’anno della solidarietà

Il libro nero sullo spreco del cibo in Italia analizzando la filiera agroalimentare elabora una stima degli sprechi e una valutazione delle conseguenze economiche, ambientali, nutrizionali e sociali generate dalla gestione delle eccedenze.

….così viviamo in perenne attesa, sull'orlo del disfacimento ma non ancora e anzi, per quanto possibile gaudenti, che questa è la società dei consumi.

La storia non cambia ma cambiano i tempi, le esigenze e gli umori stigmatizzati e scanditi dalla fase di depressione del ciclo economico attuale che sta esasperando i paesi ad economia avanzata e della quale ancora non si avverte la ripresa, appesantita dall'Unione europea che denuncia che 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà e di queste soltanto 16 milioni ricevono aiuti alimentari attraverso enti di beneficienza, mentre oltre il 30% del cibo prodotto ogni anno finisce nella spazzatura, proprio dalle case laddove si concentra la percentuale più alta di spreco alimentare, tra scarti buttati via e prodotti in scadenza che non si consumano sebbene siano ancora commestibili. Una stima indica che la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri sia di circa 89 milioni di tonnellate, ossia 179 kg pro capite, con un'elevata variabilità fra i singoli paesi e i vari settori

Il libro nero sullo spreco del cibo in Italia analizzando la filiera agroalimentare elabora una stima degli sprechi e una valutazione delle conseguenze economiche, ambientali, nutrizionali e sociali generate dalla gestione delle eccedenze. Tra gli anni settanta e ottanta, si decise sull'onda di stimolare i consumi, di finanziare i surplus dei prodotti agricoli di difficilissimo smaltimento, soprattutto al fine di frenare l'assedio di tutti quegli esportatori mondiali, in primo luogo gli Stati Uniti, che pretendevano di accaparrarsi il mercato europeo.

Così In Europa furono introdotti incentivi per aumentare la produzione agricola e per rendere più stabili i prezzi, sfociando negli anni '90 nel sistema delle "quote" di produzione, in modo da garantire un livello minimo dei prezzi e una quota di produzione garantita dei prodotti da ripartire equamente tra i vari paesi comunitari. Questa scelta ha, però, penalizzato pesantemente l'Italia che, a quell'epoca, non ha saputo ottenere quote adeguate alla sua capacità produttiva e al suo fabbisogno interno, per cui gran parte delle eccedenze sono state smaltite come rifiuto, senza per nulla favorire le classi sociali più deboli, anzi aumentando il divario tra abbienti e poveri, a dispetto di quelle correnti economiche, allora in auge, che avevano pronosticato un aumento dei redditi più bassi.

Chi non ricorda le manifestazioni con i trattori che distruggevano enormi quantitativi di frutta piuttosto che destinarla al mercato! In molti paesi Il contratto sociale sta cominciando a decomporsi perché, attualmente, se si prendono in considerazione i dati di Italia, Giappone e Inghilterra…, con un coefficiente di Gini di 0.34, di un punto percentuale maggiore rispetto alla media OCSE le entrate medie del 10% più ricco di popolazione sono dieci volte superiori a quelle del 10% più povero, con un rapporto di 10 a1. Mentre politici, analisti e parti sociali si interrogano ancora sull'equità della manovra varata dal governo Monti, l'OCSE avverte che il divario fra ricchi e poveri ha raggiunto i livelli più alti dagli ultimi 30 anni.

Figlio della crisi quale esigenza essenziale alle gravi difficoltà economiche emergenti è il "food sharing", che dopo il bike sharing e il car sharingche si sta ora affermando come strategia sostenibile per combattere lo spreco alimentare utilizzando il canale preferenziale dei social network. È così che si incontrano e si mettono in rete cittadini e associazioni per impegnarsi contro lo spreco e per mettere insieme il pasto quotidiano condividendo in comune gli alimenti che non si consumano, ossia la condivisione dei propri avanzi sfruttando le capacità di connessione del web. . Si stanno moltiplicando in rete le iniziative di "Food for sharig", che raccolgono alimenti per donarli alle famiglie bisognose, compresa la Caritas International. Ma soprattutto in Germania, dove si sprecano a testa 82 kg di cibo l'anno, esiste già un nutrito numero di gruppi su Facebook. E' nato il portale "food sharing" disponibile per ora solo in alcune città tedesche fra cui Berlino, Colonia e Monaco di Baviera, al quale partecipano sia i privati quanto le aziende con i più diversi generi alimentari: dal riso alla pasta, dagli omogeneizzati per bambini a latte e cornflakes, e poi cioccolato, caffè, marmellate, formaggi, birra, vino, biscotti, frutta e verdura fresche a km zero; per ogni offerta alimentare è indicata la città, la tipologia e la quantità, la data di scadenza e la data in cui i prodotti scelti possono essere ritirati.

I nutrizionisti dell'Università di Bloomington nell'Indiana hanno osservato, a tal proposito, che nelle mense del campus, i vassoi a scomparti delle mense favoriscono lo spreco di cibo o spingerebbero a mangiare più del necessario. Un solo piatto, invece, diminuirebbe del 18% ogni pasto. Negli Stati Uniti II 40% del cibo prodotto viene gettato e in Svezia in media ogni famiglia butta via il 25% del cibo acquistato. In Italia, ogni anno, prima che il cibo giunga nei nostri piatti, se ne perde una quantità che potrebbe soddisfare i fabbisogni alimentari per l'intero anno di oltre la metà della popolazione italiana. Si aggiunga che le enormi quantità di cibo non consumato contribuiscono al riscaldamento globale e producono metano, gas a effetto serra 20 volte più potente del biossido di carbonio e che se non interviene una sana politica sul contenimento degli sprechi, di questo passo entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate (ovvero del 40%).

In Europa circa 89 milioni di tonnellate di cibo sprecato producono 170 milioni di tonnellate di CO2equivalente/anno - ripartite tra industria alimentare (59 milioni di tonnellate di CO2 eq/anno), consumo domestico (78 milioni di tonnellate CO2 eq/anno), altro (33 milioni di tonnellate CO2eq/anno); Si può intervenire incisivamente apportando, ad esempio, modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera in modo da privilegiare in sede di aggiudicazione, a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita presso le categorie di cittadini senza potere di acquisto dei prodotti non somministrati (invenduti) e che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi e, inoltre, accordando la preferenza ai prodotti agricoli e alimentari prodotti il più vicino possibile al luogo di consumo, nonché il rispetto delle temperature di refrigerazione, per ridurre lo spreco alimentare

Oggi per mero motivo protezionistico di settori leader dell'industria alimentare alcuni Stati membri vietano la vendita di prodotti alimentari a prezzi sottocosto, privando così i dettaglianti dell'opportunità di vendere ai consumatori i prodotti alimentari freschi rimasti invenduti a un prezzo più basso verso la fine della giornata, un sistema tanto utilizzato dalle massaie italiane nel periodo post bellico. Anche nell'ambito delle attività di ristorazione è possibile intraprendere una politica che tenda a limitare gli sprechi, destinando le eccedenze a chi ne ha più bisogno prima che gli alimenti subiscano modificazioni tali da non renderli più commestibili. Anche la FAO mette in luce che europei e nordamericani sprecano a testa all'incirca tra i 95 e i 115 kg di cibo all'anno, contro i 6/11 kg dell'Africa subsahariana. Ciononostante l'Italia continua ad appartenere alla parte ricca del mondo; secondo il Global Wealth Report, nel nostro Paese c'è l'8% di coloro che hanno ricchezze superiori a centomila dollari (7% nel Regno Unito e in Germania, 6% in Francia, 16% in Giappone e 21% negli Stati Uniti) e il 5% di coloro che hanno ricchezze complessive pari al milione di dollari, (contro il 6% di Regno Unito e Germania, 11% in Giappone, 34% negli Stati Uniti e 4% in Australia).

Nel periodo corrente ove l'aumento della produzione è resa difficile dalla diminuzione dei salari e dall'erosione del potere di acquisto, vale la pena pensare di rinunciare agli sprechi mediante acquisti oculati anche coinvolgendo le numerose e diverse catene di acquisto nate per contrastare il potere negoziale che le grandi imprese di produzione e trasformazione hanno nei confronti di una GDO troppo parcellizzata, compreso il business degli Ipermercati, cavallo di battaglia dell'insegna francese, che è in netta crisi nel nostro Paese e non solo.

Il 2013 è l'anno dedicato alla diminuzione degli sprechi. Collaboriamo tutti al PROGETTO di destinare le eccedenze alle fasce più deboli nel principio universale della SOLIDARIETA'.

Pier Giorgio Tupini.

Bisogna sprecare meno, il 2013 deve essere l’anno della solidarietà

RomaToday è in caricamento