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Venerdì, 19 Aprile 2024
Romeni d'Italia

Romeni d'Italia

A cura di Miruna Cajvaneanu

La generazione Facebook che fa cadere il governo di Bucarest

E’ terribilmente amaro parlare di una scintilla che ha fatto scattare la rivolta di decine di migliaia di romeni, scesi in piazza a protestare negli ultimi giorni. Eppure, l’incendio scoppiato dieci  giorni fa in un locale frequentato soprattutto da studenti e giovani ha provocato un’ondata di indignazione sulle reti sociali, che ha scosso il sistema partitico di Bucarest fino ai vertici del governo. E mira a cambiare un’intera classe politica e un sistema malato, dove ancora regna la corruzione. 

Siamo nella notte di venerdì, 30 ottobre, quando delle scintille di un fuoco d’artificio arrivano verso una delle colonne del locale, tappezzata con spugna fonoassorbente. Nei primi secondi, pochi si rendono conto della gravità della situazione. Basta meno di un minuto e il soffitto del Club “Colectiv”, in pieno centro di Bucarest,  viene divorato dalle fiamme. Il locale, che si trova nel sottosuolo della vecchia fabbrica “Pionierul”, diventa una trappola mortale per i 400 giovani che si ammassano verso l’unica uscita. 

Il tragico bilancio, ancora provvisorio, è agghiacciante: 45 morti e più di un centinaio di feriti. 

Nel silenzio e nell’incredulità di sabato mattina, su Facebook, molti giovani di Bucarest iniziano a farsi delle domande e a chiedere delle risposte. Così si scopre che il locale aveva solo un’autorizzazione rilasciata dal comune in base ad un unico documento: una sorta di autocertificazione firmata dal proprietario del locale. Nessuna ispezione da parte dei vigili, nessun piano di evacuazione, nessun certificato di idoneità emesso da organi di controllo. 

Per giorni interi dopo l’incendio, mentre il bilancio delle vittime aumenta, le autorità, a tutti i livelli, parlano della “tragedia”, scrollandosi di dosso ogni possibile e minima responsabilità. 

Siamo nel paese dove tutto “si può fare”. Dove,  con le giuste attenzioni “si può chiudere un occhio”, un paese in cui lo stesso sindaco della capitale è in arresto per aver intascato una tangente di 25mila euro. Un paese in cui, pochi giorni prima dell’incendio a Colectiv, l’uomo di fiducia del premier Ponta e ministro degli interni in carica, Gabriel Oprea, ha attirato le proteste dei cittadini dopo che un poliziotto che gli assicurava la scorta è morto cadendo con la moto in una buca scavata nell’asfalto in seguito a lavori di manutenzione. Il paese dove lo stesso premier socialdemocratico, Victor Ponta è indagato per evasione fiscale e riciclaggio. 

Soltanto un anno fa, molte organizzazioni non governative e i movimenti della diaspora, salutavano l’elezione di un nuovo presidente, Klaus Iohannis, considerato lontano dai giochi di potere di Bucarest,  capace di lottare contro “la vecchia politica” e gli interessi dei “baroni locali”, esponenti dei maggiori partiti politici, molti accusati e indagati per vari reati di corruzione. Iohannis è stato sostenuto soprattutto dai romeni all’estero, che hanno fatto ore di fila per votarlo, lo scorso novembre. 

In molti si chiedono ora perché le cose non siano cambiate e sentono venir meno la speranza. In questo contesto, la tragedia del Club Colectiv è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Giovani che non erano mai scesi in strada e che non si sono mai interessati alla politica, hanno capito che tutto quello che succede nel paese li riguarda da vicino. 

Chi sono? Sono studenti e professori, giovani architetti e ingegneri, ragazzi, ma anche adulti nati e cresciuti sotto il regime di Ceausescu, che non hanno mai visto un vero “cambiamento” ai vertici della classe politica. Ma soprattutto, sono persone che non vengono a contatto con le notizie guardando la televisione, ma sono attivi e creano reti informative nell’ambito virtuale. 
Loro sono la generazione Facebook. E in questi ultimi giorni, si è visto quanto sia possibile la trasformazione di movimenti virtuali in movimenti reali e reattivi. 

Così sono scesi in strada, a Bucarest come in tutte le principali città. Slogan diversi, ma che hanno in comune un unico messaggio: “Jos coruptia!” -  “Abbasso la corruzione”. La corruzione è dappertutto, dicono i manifestanti, non c’è una famiglia che non ha dovuto dare “una bustarella” per ottenere un favore burocratico. Nella capitale, nel primo giorno, erano in 25mila. Il secondo giorno, il loro numero è raddoppiato. 
Mercoledì mattina, il premier Ponta si è arreso all’evidenza e ha rassegnato le dimissioni. Insieme a lui, il sindaco del municipio dove è avvenuta la tragedia. 

La risposta della piazza e di tanti intellettuali è stata: “Non basta. Dobbiamo RESETTARE l’intero sistema”.  Dal canto suo, anche la diaspora si è mobilizzata. Lo chiamano già “effetto Colectiv”. Da Londra a New York, da Madrid ad Aia, migliaia di romeni che vivono all’estero sono scesi in strada in memoria delle vittime, e per protestare contro la classe politica e contro la corruzione. 

“Vogliamo tornare a casa!” Questo è stato il grido di 300 persone che ieri, a Roma, si sono date appuntamento davanti all’ambasciata romena, chiedendo pene più severe contro i politici corrotti, l’abolizione delle immunità  o l’aumento delle spese per il settore sanitario. Tanti di loro sono andati via proprio perché non si riuscivano a vivere in un paese dove, se non conosci qualcuno, non puoi avere un buon lavoro, dove se non paghi non vieni tutelato o assistito. 

Difficile pensare ora come potrà avvenire questo cambiamento, così desiderato dalla gente che è scesa in piazza. La loro voce è stata ascoltata, ma il rinnovamento di un sistema malato alla radice non si può produrre da un giorno all’altro. La creazione di un vuoto istituzionale può lasciare lo spazio a facili manipolazioni e all’insorgere di movimenti estremisti. 

Il primo passo per poter costruire un sistema sano è essere proattivi, allontanare il sentimento di odio gratuito e attivare il proprio sistema immunitario, quello di cittadini consapevoli del loro potere. Essere presenti, osservare e reagire sempre. A partire dai piccoli gesti quotidiani, dalla resistenza ai piccoli compromessi che vengono chiesti nella vita di tutti i giorni. 
Una rivolta seguita dal silenzio non risolverà i problemi cronici di una società. Le reti informali non fanno che mantenere in vita e aumentare la velocità di comunicazione e la reazione di tanti individui. Come ha scritto ieri una ragazza su un manifesto, presente alla manifestazione di Roma:
 “Il cambiamento ha un autore collettivo”. 

La generazione Facebook che fa cadere il governo di Bucarest

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