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Romaneggiando

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A cura di Claudio Colaiacomo

La basilica nata sotto terra e quella porticina su via Prenestina

Era l’aprile del 1917 quando cedette un tratto della vecchia ferrovia Roma-Napoli presso porta Maggiore. Durante l’intervento di ripristino fu fatta una scoperta sorprendente. Un cunicolo sotterraneo conduceva a un ambiente ampio e decorato con stucchi e pitture a ben tredici metri di profondità. La zona è ricchissima di resti antichi, ma quello che sorprese di più gli archeologi era sia la profondità del ritrovamento sia la posizione sotto il livello dell’antica via Prenestina. Non vi erano dubbi, si trattava del rinvenimento di un ambiente che già nel I secolo d.C. era sotterraneo. 

Oggi una porticina presso il civico 17 di via Prenestina conduce a un cunicolo che immette prima a un piccolo vestibolo e poi a una grande area rettangolare ricchissima di meravigliose decorazioni policrome, mosaici e volte a botte. L’ambiente è lungo dodici metri e largo nove, diviso in tre navate e con una piccola abside e un altare. Per costruirlo gli antichi ingegneri utilizzarono una tecnica piuttosto singolare. Scavarono prima i fori e le trincee di muri portanti e colonne, e li riempirono di calcestruzzo. Poi procedettero scavando il terreno nella forma che è giunta fino a noi. Il mistero era fitto, nessuno sapeva a chi fosse dedicato il tempio, perché si trovava sottoterra e soprattutto a cosa servisse. Per com’è sviluppata la superficie, possiamo definirlo una basilica ma non sappiamo se fosse una tomba, un ninfeo, oppure un edificio di culto. 

Le rappresentazioni rinvenute fanno supporre un culto mistico, una setta, legata alla magia e al destino dell’anima, probabilmente un culto che seguiva la peculiare dottrina neopitagorica. Il neopitagorismo risale al ii secolo a.C., ma sbarcò nell’Urbe solo durante il i secolo dell’era moderna. Era sostanzialmente una setta legata alla divinizzazione del genio di Pitagora e dei suoi studi geometrici, attraverso i quali sarebbe stato possibile rivelare la verità ultima dell’universo. 

Le tracce sopravvissute indicano che l’edificio fu utilizzato solo per pochi anni, non ci sono segni di restauri o di usura dovuta a calpestio, solo segni di saccheggio e dell’inevitabile logorio del tempo, umidità e persino un batterio che sta mettendo a rischio le pitture. Per questo motivo la cosiddetta “Basilica Neopitagorica” è chiusa al pubblico e protetta dalle alterazioni del microclima che si è creato in duemila anni al suo interno. 

Da Roma perduta e dimenticata libro di Claudio Colaiacomo

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