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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Patrizia Prestipino

Patrizia Prestipino

A cura di Patrizia Prestipino

L'Italia di oggi e quella di Leopardi. Caro Paese mio che amarezza....

Per condividere con voi una mia riflessione sull'Italia che vedo e che vorrei tanto contribuire a cambiare. E che, mutatis mutandis, non è molto diversa da quello che oltre duecento anni fa pensava il grande Leopardi. A voi le conclusioni, qualunque esse siano ...

...Caro Paese mio. Da quando sono ragazzina ti servo impegnandomi nel mio piccolo per aiutarti a crescere . Studiando, laureandomi, facendo volontariato, per umani e pelosetti, insegnando a scuola ai ragazzi anche oltre i programmi scolastici, dedicandomi alla "bella" politica e all'amministrazione di trincea, comunque dalla parte della mia gente , anche contro il resto del mondo, quando la mia gente aveva ragione. Sempre con la barra dritta, senza mai saltellare da uno spazio politico all'altro, spesso anticipando i tempi, ma mai scavalcando altri per ambizioni personali. Mettendo tutta me stessa nella causa di un progetto. Con determinazione, ma anche con rispetto e con la dovuta leggerezza .
Ma i tempi non sono più leggeri come una volta. Sono tempi pesanti questi. In cui si è perso il senso del limite e della coerenza. E anche la giusta leggerezza dell'essere. Ora si offende senza misura. Anche per una partita di calcio. Da una piazza come da uno studio televisivo. E si è pronti a mentire senza ritegno, raccontando altre verità per mantenere antiche posizioni. Fa paura il cambiamento e chi lo incarna. E si preferisce restare aggrappati ad un paese comatoso in attesa di vederlo morire, piuttosto che assistere alla sua rinascita.

Che amarezza paese mio! Che dolore vederti affogare nell'eterna lotta tra chi ha voglia di fare e chi di distruggere. Parole pesanti piombano come macigni sulla tua storia. Volgarità ed ignoranza sono ferite profonde sul tuo bellissimo corpo. L'egoismo prevale sull'impegno. La miseria sulla nobiltà . La follia sulla ragione . E tu sei lì, ad un passo dal baratro. In attesa della gru che ti conduca al cielo. O della spinta che ti precipiti all'inferno. Ma di quest'ultima, mi sia testimone un Dio lassù, io non sarò né complice né testimone...

      "Discorso di un italiano sopra la poesia romantica"  di Giacomo Leopardi

 ......O Giovani italiani: lascio stare le cose antiche: purchè vogliamo essere questo medesimo, io dico italiani, ancora siamo grandi; ancora parliamo quella favella a cui cedono tutte le vive, e che forse non cederebbe alle morte; ancora abbiamo nelle vene il sangue di coloro che prima in un modo e quindi in un altro signoreggiarono il mondo; ancora beviamo quest'aria e calchiamo questa terra e godiamo questa luce che godè un esercito d'immortali; ancora arde quella fiamma che accese i nostri antenati, e parlino le carte dell'Alfieri e i marmi del Canova; ancora non è cambiata quell'indole propria nostra, madre di cose altissime, ardente e giudiziosa, prontissima e vivacissima, e tuttavia riposata e assennata e soda, robusta e delicata, eccelsa e modesta, dolce e tenera e sensitiva oltre modo, e tuttavia grave e disinvolta, nemica mortalissima di qualsivoglia affettazione, conoscitrice e vaga sopra ogni cosa della naturalezza, senza cui non c'è nè fu nè sarà mai beltà nè grazia, amante spasimata e finissima discernitrice del bello e del sublime e del vero, e finalmente savissima temperatrice della natura e della ragione; ancora siamo più di qualunque altro popolo vicini a quel punto, che quando si oltrepassa, non è quella civiltà ma barbarie, come si vide ne' greci e si vide ne' romani, e se ora non ci par di vedere in nessuna gente d'europa, viene che molti oggetti non si distinguono da presso ma solamente discosto, e che non sappiamo quasi mai ragguagliare le cose lontane colle vicine in maniera che non ci paiano differenti, come spessissimo non sono. Questa patria, o Giovani italiani, considerate se vada sprezzata e rifiutata, vedete se sia tale da vergognarsene quando non accatti maniere e costumi e lettere e gusto e linguaggio dagli stranieri, giudicate se sia degna di quella barbarie la quale io seguitando fin qui colla scrittura, non ho saputo nè potuto appena adombrare. Io non vi parlo da maestro ma da compagno, (perdonate all'amore che m'infiamma verso la patria vostra, se ragionando per lei m'arrischio di far parola di me stesso) non v'esorto da capitano, ma v'invito da soldato. Sono coetaneo vostro e condiscepolo vostro, ed esco dalle stesse scuole con voi, cresciuto fra gli studi e gli esercizi vostri, e partecipe de' vostri desideri e delle speranze e de' timori. Prometto a voi prometto al cielo prometto al mondo, che non mancherò finch'io viva alla patria mia, nè ricuserò fatica nè tedio nè stento nè travaglio per lei, sì ch'ella quanto sarà in me non ritenga salvo e fiorente quel secondo regno che le hanno acquistato i nostri maggiori. Ma che potrò io? e qual uomo solo ha potuto mai tanto quanto bisogna presentemente alla patria nostra? Alla quale se voi non darete mano così com'è languida e moribonda, sopravvivrete o Giovani italiani all'italia, forse anch'io sciagurato sopravvivrò. Ma sovvenite alla madre vostra ricordandovi degli antenati e guardando ai futuri, dai quali non avrete amore nè lode se trascurando avrete si può dire uccisa la vostra patria; secondando questa beata natura onde il cielo v'ha formati e circondati; disprezzando la fama presente che tocca per l'ordinario agl'indegni, e cercando la fama immortale che agl'indegni non tocca mai, ch'essendo toccata agli artefici e scrittori italiani e latini e greci, non toccherà nè a' romantici nè a' sentimentali nè agli orientali nè a veruno della schiatta moderna; considerando la barbarie che ci sovrasta; avendo pietà di questa bellissima terra, e de' monumenti e delle ceneri de' nostri padri; e finalmente non volendo che la povera patria nostra in tanta miseria, perciò si rimanga senz'aiuto, perchè non può essere aiutata fuorchè da voi.

L'Italia di oggi e quella di Leopardi. Caro Paese mio che amarezza....

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