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Le anime di Roma

Le anime di Roma

A cura di Associazione Calipso

Giordano Bruno, paladino di un concetto

“Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”. Così Giordano Bruno rispose alla commissione di cardinali inquisitori che lo avevano appena giudicato “essere eretico, impenitente et ostinato” e che avevano proibito “tutti i suoi libri et scritti” giudicati “eretici et erronei et continenti molte eresie et errori” e per questo “in mano del Santo Offitio pubblicamente guasti et abbrugiati nella piazza di San Pietro, avanti le scale, et come tali posti nell’indice dei libri proibiti”.

Il Fra’ Domenichino di Nola, un filosofo, uno studioso, uno scrittore, fu arso vivo il 17 Febbraio del 1600 a Campo dei Fiori. Ora al centro della piazza c’è un monumento in suo onore, opera di Ettore Ferrari (1889), che guarda con sfida il Vaticano.  Ma chi era Giordano Bruno? Perché è stato condannato al rogo? E perché la Chiesa Cattolica non lo ha mai riabilitato?

Giordano Bruno era un frate domenicano cresciuto a Napoli. L’abito era stata la scelta ragionata che gli aveva permesso di studiare. Fra Giordano era colto, intelligente, curioso. Troppo curioso La sua curiosità lo spinse oltre il confine concesso. Già da molto giovane, cominciò a leggere libri considerati eretici e a trarne le sue conclusioni. A 28 anni fu denunciato da un suo compagno per i suoi dubbi sulla Trinità e per il possesso di libri proibiti.

Fuggì a Roma e poco dopo lasciò l’Italia e l’abito. Viaggiò in Europa soggiornando a Ginevra, Parigi, Londra, Oxford, Wittemberg, Praga, Francoforte. Nel 1591 tornò in Italia, a Venezia, per istruire Giovanni Mocenigo all’Ars Memoriae. Ma lo stesso allievo lo denunziò al Sant’Uffizio Veneziano per le sue idee così distanti dal clima controriformistico di quegli anni. Parlava di immanentismo e di panteismo, di un Universo Infinito senza un centro o una periferia. Una mente geniale che nacque in un periodo troppo chiuso per contenerla.

Giordano Bruno fu inviato a Roma, al carcere di Tor di Nona e lasciato in cella senza essere interrogato per ben 4 anni. Nel 1597 venne nominato consultore del Sant’Uffizio il Cardinale Roberto Bellarmino, uomo di fede e di sapienza, che volle vederci chiaro.

La verità è che Bruno aveva delle idee in contrasto con i dogmi della Chiesa Cattolica, che in ogni caso avrebbe preferito un’abiura ad un rogo: l’abiura è la vittoria della fede, il rogo la vittoria dell’impenitenza. Il Filosofo contava su un possibile aiuto del papa Clemente VIII Aldobrandini, stesso papa che un anno prima aveva condannato a morte la giovane Beatrice Cenci, ma che pare avesse una particolare simpatia per i filosofi.
Quell’aiuto non arrivò mai. 

Giordano Bruno si rifiutò categoricamente di abiurare e nonostante i cardinali nella sentenza pregarono il Governatore di Roma di punire Fra Giordano delle “debite pene,  pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro”, il papa lo condannò al rogo.

Giordano Bruno salì sul patibolo a testa alta, come un Mago e un alchimista, che sfida la morte e l’ignoranza con il suo sacrificio, rendendo immortale la sua storia e soprattutto le sue idee.

“E noi, per quanto ci troviamo in situazioni inique … tuttavia serbiamo il nostro invincibile proposito … tanto da non temere la morte stessa.
Ho lottato, è già tanto, ho creduto nella mia vittoria… È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver temuto morire, l’aver preferito coraggiosa morte a vita imbecille.”
da De Monade, numero et figura

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