rotate-mobile
Cose da Pazzi

Cose da Pazzi

A cura di Enrico Pazzi

Brevissima storia di Ignazio Marino: metà uomo e metà grillino

La storia di Ignazio Marino ci insegna una cosa: in politica vince chi è più forte.  Abbiamo assistito ad una lunga partita di poker. Bluff e contro-bluff, ma alla fine ha vinto chi aveva le carte migliori: Matteo Renzi. Un’altra indicazione importante: la minoranza Dem a Roma è appunto una minoranza. Laddove si pensava che a Roma, nonostante in Parlamento la Ditta fosse schiacciata dal Pd a trazione renziana, la minoranza Dem fosse più forte. Alla fine la voce del padrone ha avuto la meglio. I diciannove consiglieri comunali Pd, per lo più riottosi ad accettare il diktat, hanno obbedito. 

A Roma si è compiuta la rottamazione del Pd Roma. Quello stesso Pd che mesi fa era stato stigmatizzato da Fabrizio Barca come “pericoloso” e “cattivo”. Quello stesso Pd che aveva candidato Marino a sindaco di Roma, con un progetto dal respiro corto, cortissimo: ottenere una vittoria di Pirro, affidando il destino della Capitale ad un soggetto inaffidabile e inadatto, per caratteristiche personali, a governare Roma. All’epoca Renzi non aveva ancora vinto le Primarie che l’avrebbero eletto segretario del Pd. Marino non è roba sua. Semmai è roba loro. E’ bene ricordarlo. 

Ed è proprio l’inaffidabilità di Marino che ha, poco a poco, spaventato prima ed allontanato poi quasi tutto il Pd Roma. Di volta in volta, i dirigenti pidini hanno preso coscienza di aver creato un mostro. Un Frankenstein egocentrico, despota, con tratti di puro giacobinismo incontrollato. Capace di mettere su, nei primi mesi di governo della Città, un’agenda politica inconcludente e populista. Giorno dopo giorno, i maggiorenti del Pd Roma hanno preso coscienza di non avere più il controllo della situazione. 

Poi è arrivata Mafia Capitale a congelare la situazione politica. Marino, qualche giorno prima era finito nel tritacarne del Teatro Quirino, con tre quarti del Pd Roma che gli chiedeva un cambio di marcia, che avrebbe portato ad un rimpasto di giunta. Ma dopo il 5 dicembre, con una sequela spaventosa di indagati e incarcerati, i maggiorenti del Pd romano si sono rinchiusi in casa, serrando le imposte e non rispondendo al telefono che squillava incessantemente. Lasciando da solo Ignazio Marino che, liberato dalla pressione del suo stesso Partito, ha iniziato una narrazione tutta sua: Io sono colui che ha scoperchiata Mafia Capitale. Con buona pace della Procura di Roma. Nonostante abbia fatto visita alla cooperativa di Salvatore Buzzi, abbia ricevuto finanziamenti per la sua campagna elettorale proprio dallo stesso Buzzi, avesse imperturbabilmente continuato ad assegnare fondi pubblici senza uno straccio di bando pubblico. 

Il Pd Roma, spaventato e privo di una bussola politica, ha iniziato ad accreditare questa narrazione, sperando che Marino, sentendosi finalmente supportato dal suo Partito, iniziasse a condividere la sua strategia per la Città. E magari iniziando ad ascoltare qualche consiglio. Ed invece nulla. Non c’era alcuna strategia e i consigli venivano rimandati al mittente. Marino ha capito che aveva campo libero, sentendosi il cavaliere senza macchia e senza peccato che poteva dar lezione di onestà e, cosa ancor più grave, di gestione della cosa pubblica. Non era tempo di politica, ma di demagogia d’accatto e di iniziative inconcludenti, sorrette da una narrazione da terza elementare. 

Intanto Matteo Renzi, comprendendo quanto la questione romana poteva fargli danno a livello nazionale, ha iniziato un po’ alla volta a commissariare tutto ciò che poteva. Prima il Pd Roma, poi, municipio dopo municipio, pezzi di partito della città. Arrivava il magistrato Alfonso Sabella come assessore alla legalità e Stefano Esposito a commissariare il Pd Ostia, con conseguenti dimissioni del presidente Andrea Tassone. Mentre Luigi Nieri si dimetteva da vice-sindaco, dopo che il suo nome era comparso nelle intercettazioni e nella relazione dei commissari prefettizi per i rapporti con il ras delle coop Salvatore Buzz. E mentre da più parti gli arrivavano critiche perché non ci metteva la faccia, Renzi incaricava Matteo Orfini, figlio di quello stesso Pd Roma, di provare a vedere se fuori pioveva. Orfini gli ha comunicato che in realtà più che di pioggia, si trattava di un’inondazione, con ampi smottamenti del Partito. Ed era la scorsa estate. Matteo Renzi ha provato a vedere se poteva forzare la mano. Ma l’altro di Matteo gli aveva chiesto di fare un ultimo tentativo. Così ha provato a vedere se questo Marino, metà uomo e metà grillino, gli avrebbe dato ascolto. Ragione per cui Renzi, che avrebbe dovuto parlare al Pd Roma a chiusura della Festa dell’Unità cittadina, preferì anticipare di un giorno la sua visita, limitandosi a giocare a calcio balilla. Al parco delle Valli. Lui e Lotti da una parte, Orfini e Luciano Nobili dall’altra. Renzi vinceva la partita a calcio balilla ed Orfini inaugurava la “fase 2” di Ignazio Marino, che sarebbe stata peggiore della fase 1. Terza giunta in due anni, con tanto di trabocchetto per il Marziano: Stefano Esposito ai trasporti, grillo parlante della coscienza di Marino e Marco Causi come vicesindaco, antica vestigia del “Modello Roma”. 

Ma a concludere di fatto l’esperienza di Ignazio Marino è un funerale. Degna conclusione verrebbe da dire. I Casamonica lo celebrano alla parrocchia Don Bosco sulla Tuscolana. Volano petali e stracci. Matteo Orfini cerca di metterci una pezza. Ma la giornata “anti-Mafia Capitale” non basta. A stretto giro, la relazione del Ministro degli interni Angelino Alfano. Il Comune di Roma non viene sciolto per mafia, ma posto sotto tutela, annacquando la figura di Marino a vantaggio di quella del prefetto Franco Gabrielli. Marino se ne sta rintanato negli Usa dove è andato in vacanza. Una lunga pausa di riflessione, durante la quale mette in ordine i suoi appunti presi su deliziosi quadernetti colorati, dai quali trarrà un libro in uscita per il prossimo Natale. Qualcuno assicura che su quei quaderni c’è scritta su ogni singola pagina una sola frase, “All work and no play makes Jack a dull boy”. 

Il resto è cronaca di questi ultimi tre mesi. Il viaggio a Philadelphia, la smentita mediatica di Papa Francesco, la faccenda degli scontrini e le dimissioni, prima date e poi, dopo la piazzetta del Campidoglio che chiedeva a Marino di ripensarci, ritirate. Marino intanto viene consigliato dai strateghi della minoranza Dem che prova a bluffare, avendo in mano “quattro assi, ma dello stesso colore”. Carte tarocche, come la petizione online a sostegno della resistenza mariniana. Renzi mette il turbo, tra una visita al Macchiupicciu e una corsetta a L’Avana con la maglia della Nazionale numero 10. 

E siamo ad oggi. Inizia l’operazione di recupero del consenso per il Pd. Un’operazione targata Matteo Renzi al 100%. All’insegna del modello “Expo” di Milano. Tanto che il prefetto Franco Gabrielli nomina Commissario di Roma, a poche ore dalla decadenza di Ignazio Marino, Francesco Paolo Tronca. Lui è stato prefetto di Milano, la stessa città promossa a modello di moralità da Raffaele Cantone solo qualche giorno fa. Insomma, scende in campo la nazionale dei titolari. Almeno stando alla narrazione renziana. Il Giubileo come l’Expo. Solo che al posto del Decumano, ci sarà via della Conciliazione.  “All work and no play makes Jack a dull boy”. 

Ciao Marziano.

Brevissima storia di Ignazio Marino: metà uomo e metà grillino

RomaToday è in caricamento