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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cose da Pazzi

Cose da Pazzi

A cura di Enrico Pazzi

Marino e Garibaldi. L'esilio e le memorie

L’assenza da Roma e il prolungamento delle sue vacanze, tra i Caraibi e il Texas, è l’atto più politico fatto sino ad oggi dal sindaco di Roma Ignazio Marino. La sua assenza pesa più della sua presenza e ciò la dice lunga sulla complessità che ha assunto, via via, il ruolo di sindaco di Roma negli ultimi due anni. L’indiscrezione, poi, sul fatto che il sindaco stia scrivendo le sue memorie sull’esperienza da sindaco è degna del ben più celebre esilio di Giuseppe Garibaldi a Caprera.

In verità, due tre cose a difesa di Ignazio Marino vanno dette.

La prima: molti oggi dimenticano, o volutamente ignorano, le dinamiche che hanno portato alla candidatura di Marino a sindaco di Roma. Nessuno, tra i maggiorenti spendibili del Centrosinistra (specie nel Pd), voleva candidarsi a fare il sindaco. Il Pd era diviso tra la paura dell’onda lunga del Movimento 5 Stelle e la disputa Renzi-Bersani per la segreteria nazionale e per la guida del Paese. Il risultato, a livello strategico, è stato alla lunga deleterio. La candidatura di Ignazio Marino è stata finalizzata unicamente alla vittoria, ma non certo al governo della Capitale. Non per demerito di Marino, ma per demerito della classe dirigente del Pd romano e nazionale, partito i cui dirigenti erano impegnati nella trasmigrazione da Bersani a Renzi. Una volta insediatosi Renzi alla guida del Pd e del Paese, i renziani della prima e dell’ennesima ora hanno iniziato a reclamare posti e prebende, in base al nuovo ordine gerarchico post-bersaniano. La candidatura di Marino è nata populista e non è mai diventata politica. Lo stesso Marino è rimasto legato ad una narrazione populista, ma nel frattempo le segreterie dei partiti (non solo del Pd) hanno ripreso a fare politica, con accordi ed accordicchi. Specie a Roma. Almeno fino a Mafia Capitale.

La seconda: Mafia Capitale ha avuto una doppia valenza nei confronti di Ignazio Marino. Da una parte ne ha allungato l’esistenza come sindaco, congelando le dispute politiche in seno al Pd romano, dall’altra ha di fatto falcidiato la sua prima e seconda giunta, tra avvisi di garanzia, carcerazioni preventive ed intercettazioni imbarazzanti. Non si può dimenticare la due giorni al Teatro Quirino, che anticipò di un paio di giorni la prima ordinanza di Mafia Capitale. Alla kermesse del Qurino, il Pd romano chiedeva a gran voce, per mezzo dell’allora segretario del Pd Roma Lionello Cosentino, un rimpasto di giunta. Ignazio Marino, dopo la fase populista che lo aveva  portato alla sua candidatura e alla sua elezione, doveva fare i conti con un Pd romano ringalluzzito dall’ascesa di Matteo Renzi. I renziani della prima ed ennesima ora, avendo terminato la transumanza da Bersani a Renzi e finalmente più certi del proprio destino politico, chiedevano poltrone nel governo della Capitale. Mafia Capitale è arrivata a stoppare tutto ciò. Ma allo stesso tempo, ha di fatto commissariato Marino. Da lì in poi, lo spazio per Marino è stato ridotto. Non più nelle condizioni di esercitare appieno il suo ruolo di sindaco, ma foglia di fico a salvaguardia di quel poco di sano che restava del Centrosinistra romano. Ma sopra ogni altra cosa, Marino è diventato, una volta scoperchiato il vaso di Pandora di Mafia Capitale, prezioso collaboratore della magistratura. Alla lunga questa situazione ha però  logorato il suo ruolo di sindaco.

La terza: Matteo Renzi non ha mai amato Ignazio Marino. La causa principale dell’avversione di Renzi nei confronti di Ignazio Marino risiede nel fatto che Roma è diventato un argomento spinoso di portata nazionale, che non può più essere più risolto con la politica. La questione romana (e di Mafia Capitale) fa perdere consenso al Pd, comunque la si metta. Nonostante Matteo Renzi abbia commissariato il Pd, da quello centrale sino a quello municipale, la sostanza non cambia. Inoltre, gli innesti di figure esterne nella seconda e nella terza giunta Marino (l’assessore alla legalità Alfonso Sabella prima e quello al trasporto Stefano Esposito poi), hanno decretato la fine dell’esperienza politica dell’amministrazione Marino. A dimostrazione che non basta la figura di Ignazio Marino a segnare la discontinuità tra Mafia Capitale e il nuovo corso. Perché, oramai, non è più possibile governare Roma con la politica. Di fatto, Roma nelle condizioni in cui versa oggi non ha necessità di avere un sindaco. Semmai, ha bisogno dell’esercito e della magistratura. E di un commissario.

In fin dei conti, Ignazio Marino è colui che, con la sua testarda permanenza in Campidoglio, rappresenta una garanzia per la magistratura. Lui apre i cassetti e rende disponibili i documenti. E magari, nel suo libro di memorie, narrerà come e perché. Altrimenti, come spiegare la sua ostinata volontà nel sottoporsi a questo continuo martirio mediatico e politico, oltre che umano? Marino si sente uno strenuo baluardo per la prosecuzione delle indagini della magistratura. Sente che questa è la sua missione. Magari il tempo gli darà ragione. E magari la Storia racconterà di come, una volta, c’era un Marziano incapace di far politica e di governare una città, ma capacissimo di contribuire a smontare, pezzo per pezzo, il sistema politico-mafioso di Roma Capitale.

D’altronde, come scriveva Giuseppe Garibaldi nelle sue Memorie, “Avevo ricevuto il mio incarico da compiere col movimento che doveva aver luogo, ed io l’avevo accettato senza alcuna discussione”.

Marino e Garibaldi. L'esilio e le memorie

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