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Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Perché la Nuvola è Sold-out

Dopo appena 40 minuti dall’apertura delle prenotazioni per poter visitare, il prossimo mese, la Nuvola (dei) Fuksas è sold-out. Tu clicchi ma devi arrenderti. Non c’è niente da fare. Finisce, praticamente prima di cominciare, la possibilità di andare a vedere dal didentro, di cosa è fatta questa nuvola. Di sperimentare anche se per questo nuovo, strano, per ora sconosciuto, edificio, vale quello che nel film “Un ponte per Terabithia” senti dire a Leslie Burke “tieni la testa indietro e guarda le nuvole ... sembra di volare”. 

È la prima volta che Roma viene colta da questa “febbre” da visita architettonica per un edificio appena terminato. Non è successo per l’Auditorium di Renzo Piano. Non è successo per la chiesa di Tor Tre Teste realizzata dall’architetto statunitense Richard Meier. I romani si sono dati tempo per conoscere queste realizzazioni che appena aperte non hanno registrato molti visitatori all’infuori degli addetti ai lavori. Perché?

Chi abita le città è portato a pensare che gli edifici, tutti, sia pubblici che privati, debbano avere innanzitutto una funzione. Servire. Così si va all’Auditorium quando inizia la stagione, si va a vedere quella chiesa nuova, in occasione di qualche avvenimento che lì viene programmato. È successo lo stesso con il MAXXI al Flaminio. Prima di avventurarsi lungo quei percorsi avvolgenti è passato del tempo. Difficile muoversi per qualcosa che ancora non fa vedere a che cosa serve.

L’architettura, parla alla città. Entra nella vita (e nello sguardo) di tutti giorni. Diventa punto di riferimento. Diciamo che “funziona” quando l’edificio che la interpreta, diventa una parola del nostro vocabolario quotidiano. La dobbiamo però conoscere bene con il tempo. All’inizio siamo diffidenti soprattutto da quando gli architetti, che ora vengono chiamati archistar, sembrano disegnare, qualche volta costruire, edifici che non sono per nulla simili a quelli che fino allora li hanno preceduti.

Siamo pronti poi a dimenticarlo quando andiamo in qualche altra città, dove guardiamo con stupore le novità architettoniche che andiamo subito a visitare. Succede a Parigi, succede a Berlino. Succede a Milano dove, appena usciti dalla stazione, alzando gli occhi, vediamo che ora quei monti che eravamo soliti cercare con il nostro sguardo, hanno davanti altissime sentinelle in vetro e cemento. Non possiamo fare altro che decidere di andare a vedere cosa è successo.

La Nuvola dell’EUR non è tutto questo. È racchiusa in una gabbia. Vista da fuori sembra raggomitolata su se stessa. Ci viene detto che ospiterà come funzioni grandi congressi internazionali. Quindi noi saremo esclusi. Ora che l’avremmo potuta vedere, non c’è più posto. Riusciremo mai a varcare quella soglia? Perché succede tutto questo? Avanzo alcune ipotesi ovviamente del tutto personali.

Succede perché, entrando, ognuno di noi vorrà verificare se davvero quella dove ora siamo è una nuvola, se è uguale a come è stata disegnata e raccontata, la ricordate? in quella pubblicità che aveva il suo progettista come testimonial. Davvero è possibile tenere un auditorium come un palloncino dei bambini sospeso per aria? Qualcuno dice che ora ci sono solidi pilastri e così, come per tutti gli altri edifici, anche qui, all’EUR, è in vigore ancora la legge di gravità. 

Succede perché entrando ognuno di noi vorrà verificare se davvero il costo spropositato che abbiamo sentito dire abbia prodotto un qualcosa di strabiliante e se la Sindaca abbia fatto bene a tirare fuori, proprio il giorno della festa, la questione dei soldi.  Qualcuno dice che non è stata fine. Qualcuno forse, prima di parlare di galateo, dovrebbe darsi da fare per far conoscere alla città quanto abbiamo speso e soprattutto se, come leggiamo sui giornali, dovremo far fronte ancora a pagamenti ulteriori, in presenza di un contezioso con l’impresa che la Nuvola ha tirato su e messa in gabbia. Aspettiamo.

Succede perché l’architettura questa volta con questo progetto dopo molti anni, ha costruito, sia pure con i ritardi dei tempi di costruzione, le polemiche tra i molti protagonisti tecnici e politici, l’attesa di se stessa. Non accadeva da tempo, la città vuole andare a vedere quello che c’è di nuovo. Ed è bene che chi già c’è stato non lo racconti perché l’architettura è innanzitutto la capacità di trasmettere emozioni e sono proprio le emozioni a permetterci di esprimere adesioni o far esplodere la rabbia quando il progetto non ci soddisfa.

Aprite quelle porte fate entrarci dentro e, se ne siete capaci, emozionateci. Poi ne riparliamo. 
 

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