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Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Il terremoto non è come una guerra, è la guerra

Qualche tempo fa un lettore di questo blog commentando un mio articolo, seppure in modo assai garbato, mi rimproverava del fatto che io considerassi il primo atto del costruire, che io identificavo nel lavoro di scasso del terreno per preparare il grande “buco” destinato ad ospitare la prossima costruzione, una violenza verso la terra. Io parlavo della necessità di “far riposare la terra”, di contenere il consumo di suolo. Di recuperare e mettere in sicurezza il costruito. Fare questo voleva significare più o meno rifiutare, lui diceva, il futuro, tornare alle capanne e alla vita nelle campagne. 

Mi è venuta in mente subito quest’osservazione ricevuta su queste pagine appena, dalla maledetta alba di mercoledì 24 agosto, e poi da allora ininterrottamente, mi sono ritrovato davanti agli occhi il nastro continuo di immagini che riportavano di come il terremoto avesse  messo a terra l’abitare di quei paesi che aveva afferrato. 

Quelle immagini segnalavano come molti di quei tetti collassati fossero stati appesantiti e non legati alle sottostanti murature, come il sisma avesse fatto spanciare mura dove ricorsi di pietra non erano riusciti ad opporsi ai suoi movimenti oscillatori, come, con il suo dimenarsi, il sisma avesse raggiunto e fatto prima vacillare poi schiantato intere partizioni di edifici.  Alcuni afflosciatisi al suolo, altri seguendo un interminabile effetto “domino”. Macerie, crateri, polvere.

Ancora più crudele vedere facciate che, come se fossero state tagliate con una grande lama, esponevano direttamente attraverso gli oggetti che usiamo tutti i giorni, la vita quotidiana che quelle immagini sembravano congelare. 
 
Come una guerra. Questa volta l’attacco non veniva dal cielo o da terra, ma dalla stessa terra. Dalle sue viscere. Come una guerra, distruzione e morti. Tanti. Tantissimi. Tutte vittime innocenti. Lutti difficilmente sanabili, perché al dolore di chi li ha dovuti subire si aggiunge la rabbia di chi vede come la battaglia contro il terremoto nel nostro paese non sia al primo punto dell’agenda delle cose da fare.

Ci sono le leggi. La Microzonazione sismica, la verifica della resistenza dei terreni ad ospitare interventi costruttivi, è obbligatoria. La geomeccanica dei terreni è molto complessa. Possono variare per caratteristiche anche a poche decine di metri l’un l’altro. Conoscere la loro natura e capacità di resistenza è quindi fondamentale. Scopriamo però, che, nessuno può sovrapporsi e intervenire alla dimenticanza (sic) da parte di un’amministrazione di applicare il proprio “piano antisismico”. Si lascia nel cassetto e nessuno può dire nulla. 

Quando poi si passa alla ricostruzione entrano in gioco imprese ed appalti.  Anche a seguito di quello che è successo in alcune “ricostruzioni” (Aquila, Irpinia, Belice) è stato studiato un nuovo codice degli appalti con il fine di eliminare possibili infiltrazioni di organizzazioni criminali e prevenire e combattere fenomeni di corruzione. Codice bloccato perché ancora non è finita la verifica concertativa tra i vari preposti e di conseguenza il codice è inapplicabile per assenza dei necessari decreti attuativi. 

C’è poi il problema dei fondi e degli stanziamenti necessari. Per la ricostruzione e per finalmente dare vita ad opere di prevenzione.  Con un crudele paradosso linguistico, i necessari “denari” da spendere per combattere fenomeni di instabilità devono rientrare in quanto fissato dal patto di stabilità. Da Bruxelles sembrano arrivare notizie poco rassicuranti a fronte la richiesta motivata di sforamento dei limiti imposti per contenere il debito pubblico.

Servono subito 360 miloni secondo le prime stime. Necessari solo per mettere in sicurezza gli edifici che hanno resistito. Poi molti altri, ma c’è una clausola a Bruxelles che spaventa. Si può sforare i limiti di contenimento di spesa in occasione di calamità naturali, anche devastanti, solo se nel territorio devastato esiste una significativa presenza produttiva. Salvare la vita di migliaia di persone viene considerato un investimento. Ancora maggiore di quello in edilizia post sisma, come ha ricordato qualche sera fa uno sciagurato commentatore televisivo. I corpi vengono messi a reddito, valgono solo se producono. Anche i morti.

Il terremoto non è come una guerra. Secondo il modello neoliberista che vorrebbe comandare il mondo e la nostra vita, il terremoto è la guerra perché serve a questi signori, e a chi deciderà di seguirli, di condurre il loro principale obiettivo dichiarare e praticare la guerra costante a bassa intensità contro la povertà. A partire dall’abitare. A partire dai colpi seppelliti da quegli stessi elementi costruttivi per cui la sicurezza è un fastidioso “optional”, che permette, a chi chiamato all’ opera di risanamento, di dire che a lui erano state richieste opere di “miglioramento” non di “adeguamento” sismico. Così chiosa sui giornali l’imprenditore al quale era stata messa nelle mani la scuola di Amatrice!!

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