rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024
Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

" Antonello Sotgia. Architetto. Convinto che la ""città è opera collettiva per eccellenza"", non riesce a darsi una ragione del perché si permetta alla rendita dei ""pochi"" di cancellare l'abitare dei ""molti"". "

Abitare Roma: le parole per dirlo

La sfida del giardino che riscatta la città

Progettare una sedia è forse la sfida maggiore che la professione lancia ad un architetto. A lui il compito di rendere “bello” questo oggetto fondamentale dell’abitare. Non è semplice perché è necessario riuscire a tenere insieme in un piccolo elemento, solitamente non più alto di 42 cm, solidità e leggerezza, bellezza e sicurezza, tradizione ed innovazione, comodità ed economicità. In molti, anche tra i maestri del movimento moderno nel 900 ci hanno provato lasciandoci esempi che, da allora, hanno riempito le case del mondo. Una serie infinita di “derivazioni” ed imitazioni successive hanno permesso a molti di sedersi su di un pezzo di cuoio e tubolari di ferro alla Le Corbusier, su uno sgabello di faggio come quelli sapientemente piegati dal finlandese Alvar Alto. I più fortunati hanno potuto conquistare la “superleggera” del milanese Giò Ponti. La seduta inimitabile che, con un riferimento preciso all’icona appresentata dalla sedia di paglia contadina, è stata la protagonista dei salotti delle famiglie milanesi che ne hanno fatto un simbolo della ripresa dell’abitare in una città da ricostruire dopo la guerra. Fin qui la sfida agli architetti lanciata dall’architettura.

Cosa succede salendo di scala riferendosi alla città? Esiste anche qui un tema principale?  Esiste ed è rappresentato dal progetto di un giardino. A vedere i risultati “romani”, omettendo volontariamente di riferirci ai grandi parchi o ai giardini e alle ville storiche (per altro attualmente non in buono stato di conservazione), possiamo dire che gli architetti hanno perso. Quando si sono trovati a progettare gli spazi verdi di connessione tra il costruito, quelli di raccordo degli edifici tra di loro, o, è il caso romano, il cosiddetto “giardinetto” ovvero lo spazio all’interno di qualche slargo sottratto al cemento o posto al centro di qualche piccola piazza o lungo una larga strada, hanno pensato a progettarlo come se stessero progettando una sedia.

Guardate uno qualsiasi di questi spazi, magari quello che avete sotto casa. Sono tutti simili. Aiuole e patetici vialetti. A volte coperti con ghiaia, a volte un semplice percorso in terra battuta. Pochi sono i “giardinetti” ad avere un disegno a terra riconoscibile. Sono tutti pensati come un elemento di arredamento. Come una sedia appunto. La sedia ad accogliere un corpo, lo spazio verde a farsi contenitore di panchine, arredi per il gioco e quando ci sono recinti per i cani. Elementi messi lì che, è il caso degli elementi in legno o plastica per i più piccoli fanno riferimento ad un immaginario che non sta nel giardino, ma fuori di esso. Scivoli e piccole arrampicate disegnate come treni, bruchi, castelli...

Il giardino sta nei giochi dei bambini. Gli architetti non sembrano averlo compreso. Si sono dimenticati che per tutti i bambini, quindi sarà successo pure a loro, il giardino indipendentemente dalla propria “metratura” è il luogo in cui imparano a prendere le misure del mondo che dovranno conquistare. Perché costringerli a tenere a freno la propria fantasia in modelli stereotipati assemblando pezzi di legno e plastica e non offrire piccole asperità rappresentate da un semplice movimento di terra, sentieri misteriosi intervallando spazi liberi e piantumazioni di bamboo, lo scorrere di un magico fiume mostrando la rete di irrigazione, la caccia alle ombre con cui costruire straordinari disegni piantando siepi ed alberi in modo non casuale?

Un esperimento, in questo senso, è stato compiuto anni fa a ridosso del museo MAXXI. Purtroppo un giardino temporaneo per una sola estate. Allora (2011) lo studio stARTT seppe costruire gli elementi del giardino tradizionali come altrettanti incubatori di fantasia (panchine modellate nella sistemazione verde del terreno, passaggi a quote diverse, piani leggermente inclinati  da usare come seduta per leggere o magari seguire il corso delle nuvole, piccole canalette dove ogni bambino poteva come fa Peppa Pig sentirsi campione mondiale del salto nella pozzanghera e poi straordinari papaveri rossi che a ben guardare servivano ad illuminare il tutto mischiando la propria ombra a quella dei piccoli frequentatori. Un modello abbandonato dallo stesso MAXXI che nelle esperienze successive ha puntato a più rassicuranti proposte come quella attuale dove il riferimento obbligatorio alla religione del “riciclo” sconta la pochezza progettuale dell’impianto.

In una città in cui la Sindaca Raggi il giorno dell’insediamento si fa accompagnare dal proprio bambino facendolo sedere sulla sua sedia, non è forse venuto il momento di cominciare a pensare che i giardini, così come le sedie, hanno bisogno finalmente di essere pensati da bravi architetti? Un modo per riscattare un pesantissimo passato fatto di ristoranti e spazi commerciali spacciati come “punti verdi qualità”. Concorsi di architettura e non speculazioni finanziarie.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La sfida del giardino che riscatta la città

RomaToday è in caricamento