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Disabili, anziane, sotto sfratto e senza ascensore: "Vogliamo cambiare casa ma è impossibile"

La storia senza soluzione di Marina che vive con la madre, la zia e il fratello. Hanno provato con la casa popolare, l'housing sociale e il mercato privato. Nessuno è disposto a dare loro un appartamento

“Siamo sepolte vive dentro questa casa”. Se chiedi a Marina, 53 anni, sotto sfratto insieme alla madre di 84, alla zia di 89 e al fratello di 43, come vede la sua vita quotidiana, risponde così. L’appartamento di una cinquantina di metri quadrati nel quale abita, nella zona di Tor Marancia, non ha l’ascensore e per una persona invalida al cento per cento come lei, che tra i problemi di salute annovera anche un handicap motorio alle ginocchia dovuto all’artrosi, i 210 gradini che la separano dall’esterno sono una fatica che riesce ad affrontare solo per le incombenze più urgenti. “Devo pagare una persona che mi aiuta a portare su la spesa”, racconta per dare un esempio.

Per la madre e la zia, invece, equivalgono a una condanna alla reclusione dentro casa: “L’ultima volta che mia zia è uscita era il 2015. Mia madre, invece, è andata all’ospedale nell’estate del 2019 e per farla risalire ho dovuto chiedere l’aiuto dei vigili del fuoco. Per la presenza di un gradino non riescono nemmeno a uscire sul balcone, figurarsi se devono pecorrere un’intera rampa per stare un po’ all’aria aperta o per qualche visita medica”. Questo non è l’unico motivo che spinge Marina a cercare un’altra casa. E allo stesso modo sono molteplici anche i motivi che fanno sì che Marina, pur cercandola ormai da qualche anno, non riesca a trovarla.

Dal 2011 Marina, la madre, la zia e il fratello sono sotto sfratto per finita locazione. “Abitiamo in questo appartamento dal 1974. Lo prese in affitto mio padre, morto proprio nel 2011. Nel 1992 si trasferì anche mia zia che al tempo aveva già più di sessant’anni ed era invalida. Abbiamo pagato ogni mese per quarant’anni e dal giorno in cui lo sfratto è diventato esecutivo, oltre al canone, paghiamo anche l’indennità di occupazione. Oggi in totale ogni mese versiamo circa 760 euro. Dopo la morte di mio padre il proprietario ha deciso di vendere. I primi mesi dopo lo sfratto, mentre noi non sapevamo dove andare, l’agenzia immobiliare portava le persone per visitare l’appartamento. Così mi sono rivolta a un avvocato del sindacato Sunia e sono riuscita a ottenere una proroga dello sfratto”.

Anche le condizioni dell’appartamento richiederebbero un trasloco: “Si evidenziano tracce di infiltrazioni d’acqua sul soffitto e sulle pareti del bagno e della cameretta oltre che la presenza di muffa e di cattivo odore”, si legge in una relazione dei servizi sociali che riprende il verbale di un sopralluogo effettuato dai vigili del fuoco nel 2014. Tutto ciò, continua il documento, rende “nel tempo poco salutare il soggiornare nei locali menzionati e tali da rendere necessario l'avvio di lavori da parte di chi di competenza per il ripristino delle condizioni idonee di abitabilità”. In un documento firmato dalla geriatra della madre di Marina, scritto nel 2019, si legge: “Al fine di non procurare un ulteriore aggravamento delle condizioni psicofisiche e di salute si ritiene opportuno cambiare al più presto l'attuale sistemazione alloggiativa”.

Marina non ha sottovalutato la situazione: “Mia madre e mia zia non stanno trascorrendo una vecchiaia dignitosa. Dobbiamo cambiare appartamento. Ma come?”. Marina è disabile al cento per cento, come la madre, definita in una relazione delle assistenti sociali dell’VIII municipio, “disabile grave”. La zia, invalida lo è “fin dal 1979” e oggi è affetta, visti i suoi quasi novant’anni, da demenza senile.

“La prima cosa che ho fatto è stato chiedere un alloggio popolare a nome di madre, l’unica che percepisce la pensione. Era il 2011 e mio fratello all’epoca lavorava ancora per una grande catena di elettrodomestici che ha chiuso l’anno seguente lasciandolo disoccupato. La pensione di reversibilità di mia madre da 1350 euro e lo stipendio di mio fratello hanno fatto sì che la domanda non venisse ammessa. Nel 2015 è passata solo la richiesta di mia zia: ha ottenuto 52 punti. Ma non è mai stata contattata. Inoltre è un nucleo familiare a parte. Mi chiedo se come sua caregiver, riconosciuta dal comune come unica persona dalla quale mia zia accetta le cure, potrò trasfermi con lei. E mia madre e mio fratello che fine faranno? Sto cercando di far capire la mia situazione agli enti competenti ma senza alcun risultato”.

Nel frattempo Marina non resta con le mani in mano e decide di rivogersi alle agenzie private. “Avevo trovato alcune soluzioni abbordabili economicamente, ma tutti i proprietari di casa rifiutavano la mia offerta. Ho tentato e ritentato fino a che un agente immobiliare ha avuto il coraggio di dirmi la verità: nessun privato avrebbe mai accettato di affittare un appartamento a tre donne invalide, delle quali due ultraottantenni, che vivono con una sola pensione di reversibilità e l’assegno di invalidità”. 
Marina si rivolge allora ad alcuni enti religiosi: “Uno di loro mi ha proposto un appartamento ma il costo, per le nostre tasche, era davvero troppo alto. Non possiamo pagare mille e duecento euro al mese consumando quasi tutta la pensione. Inoltre avrei dovuto ristrutturare l’appartamento a spese mie. Impossibile”. Anche questa strada finisce in un vicolo cieco.

Nel maggio del 2019 Ater lancia il bando per affittare 180 alloggi in housing sociale. Marina pensa che possa essere l’occasione giusta per trovare un alloggio e aiuta la madre a presentare domanda. Il risultato ha il sapore di una beffa: “Ci hanno scritto che non ha il requisito reddituale. Non perché è troppo ricca, ma perché è troppo povera”. Niente da fare, la sua richiesta non viene ammessa.

Mentre parla, a Marina trema la voce. “Qualcuno mi deve dire cosa dobbiamo fare. Lo sfratto incombe. La casa non è salutare. Siamo sepolte vive qui dentro. Mia madre e mia zia riconoscono solo me per le cure necessarie. Abbiamo bisogno di restare nella stessa zona per mantenere una continuità assistenziale e medica. Le assistenti sociali che ci seguono da anni confermano tutto quanto”.

Marina ha scritto una lettera alla sindaca Virginia Raggi, “ma non mi ha mai risposto”. Ha scritto anche all’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Il Quirinale ha risposto che purtroppo non ha case disponibili”. La stessa cosa l’Arma dei carabinieri. “Mio padre era un maresciallo, l’Associazione nazionale carabinieri ci dà una mano ma non ha appartamenti”. Niente casa popolare, niente housing sociale, niente mercato privato. “A chi si deve rivolgere in questo Paese un disabile o un’anziana che vive di pensione affinché qualcuno la aiuti a trovare una casa decente dove trascorrere con dignità la sua vecchiaia?”. 

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